sabato 4 agosto 2012

"Terra, terra!..." di Sàndor Màrai (Ed. Adelphi)


Questa non è una recensione.
Dopo la lettura di “Terra, Terra !..” nessuno si troverà a riflettere sul senso e sul valore letterario dell'opera o sui suoi significati più o meno nascosti. Il primo istinto del lettore intellettualmente onesto - per primo con sé stesso - sarà invece quello, irrefrenabile ed irato, dell'indignazione. Indignazione nell'accorgersi , leggendo questo lavoro di Màrai, eccelso come gli altri eppure così diverso, di come il mondo culturale occidentale nelle sue congregazioni di casta - ufficiali e sottobanco - abbia condannato per decenni all'oblio un gigante della letteratura europea del novecento, come è Sàndor Màrai.
Màrai, un cane sciolto, che sarebbe stato impossibile attaccare perché di livello troppo superiore a quello dei sacerdoti che hanno celebrato la liturgia della cultura occidentale dall'ultimo dopoguerra ad oggi, incensandosi a vicenda e coalizzandosi per tenere a viva forza sott'acqua i migliori che “non si guardavano intorno” alla ricerca di scambi di utilità. Un soggetto pericoloso, Màrai, come tutti coloro che “non sono di nessuno” e vivono non di prebende elemosinate dal potere, ma della libertà del proprio intelletto.
La cintura di sicurezza è stata quella del silenzio, l'unica possibile di fronte ad un intellettuale inattaccabile: borghese sì, ma antinazista ed antifascista oltre che anticomunista.
Màrai, nato nel 1900 in una piccola città dell'Alta Ungheria poi passata alla Cecoslovacchia e vissuto lungamente a Budapest, ha visto – opponendovisi - le sciagure del suo paese dopo la caduta dell'impero austrungarico, con l'effimera “repubblica sovietica” di Bela Kun (lo spazio di un'estate), alla quale egli stesso, giovanissimo, aderì, e poi col lungo, grigio ed opprimente regime pseudoparlamentare del reggente Horthy, fino alla deriva filofascista delle “croci frecciate” e all'occupazione nazista. Solo negli anni trenta, assieme alla giovane moglie Lola, ebbe una lunga permanenza in Europa occidentale, tra Germania, Francia e Italia, parentesi di cui fa fede “Confessioni di un borghese”, libro di memorie maturo e profondo sebbene scritto da un trentacinquenne. Màrai fece poi ritorno in patria per “scrivere”, essendosi reso conto che poteva scrivere solo in ungherese, in questa lingua parlata e capita solo da un piccolo popolo isolato nel mondo e diversissima da quella dei popoli vicini - simile solo al finlandese per la comune origine orientale del ceppo ugro-finnico.
L'indignazione non nasce nel lettore dalla descrizione che Màrai fa dei primi momenti dell'occupazione dell'Ungheria da parte dell'armata rossa staliniana e dalla scientifica nazionalizzazione del paese e, soprattutto, come nota lo scrittore, dalla “nazionalizzazione della personalità dei cittadini”. Le vicende, ormai concluse da un ventennio, delle democrazie popolari dell'Europa orientale sono note, e chi non si è indignato quando erano trionfanti, fa bene a non indignarsi neppure adesso leggendo un libro che riporta, in fondo, fatti all'epoca risaputi anche da chi preferiva distogliere lo sguardo.
L'indignazione non nasce da quei fatti, i fatti atroci della dittatura, tanto più che oggi vediamo con raccapriccio di cosa sono capaci i nuovi regimi di alcuni di quei paesi.
L'indignazione si origina invece dall'atteggiamento dei circoli culturali europei occidentali, che hanno nascosto al grande pubblico l'opera di Màrai, come “voce stonata” di un coro che è stato convinto (e ci ha convinti) per decenni di essere all'avanguardia.
“Terra ... Terra!...” è il grido del mozzo di Colombo dalla coffa dell'albero maestro della Caravella, ed è il grido di Màrai quando decide, nel 1948, di lasciare definitivamente il suo Paese. La “Terra” è l'Occidente, ma egli non sapeva che lì viveva e prosperava – proprio nel mondo della cultura, che era il suo mondo - una “enclave” di quel regime dal quale egli pensava di fuggire, e che non gli perdonò la sua libertà intellettuale.
Solo Adelphi, in Italia, verso la fine degli anni '90 (quando Marai era già morto suicida nel 1989, appena un minuto prima del crollo delle dittature dell'est, al quale non ha potuto quindi assistere) ha iniziato a rendere onore ad un grande scrittore che con le sue opere, numerose e tutte bellissime, ha delineato magistralmente ed in profondità la coscienza individuale e collettiva dell'Europa tra le due guerre.
Gli europei che sanno quale tesoro sia la capacità di pensiero dell'uomo e vogliono fruire della propria con piena libertà, hanno quindi ora la possibilità di rimediare, sia pure in ritardo, all'ostracismo al quale Sàndor Màrai è stato costretto in quella “Terra” che, pieno di speranza, pensava di aver avvistato dalla coffa dell'albero maestro della sua caravella.


“E allora sarei potuto restare: avrebbero deciso nel santuario del Partito se pubblicare o meno un mio nuovo libro, se concedere la carta per la ristampa dei precedenti. Di tanto in tanto avrei potuto viaggiare all'estero (previa assicurazione di fare ritorno), prender parte a congressi letterari stranieri a spese dello Stato e dimostrare con la mia presenza che anche in Ungheria vi era libertà di spirito, dato che io, lo scrittore non comunista, potevo comparire e parlare alle riunioni mondiali dei ”lavoratori dello spirito”. ... In cambio non mi avrebbero chiesto altro se non di dare qualche volta un calcio a un condannato a morte: non solo a un “controrivoluzionario” , ma anche ad un comunista di cui non avessero avuto più bisogno. .... O di incoraggiare l'operaio ungherese che non reggeva il ritmo forzato della “gara di lavoro socialista”, lo stacanovismo remunerato con uno stipendio da fame, a recarsi sotto la statua di bronzo di Stalin, a contemplare l'immagine del Gran Capo dei Popoli e a capire finalmente quale fosse lo scopo e il significato di quei lavori forzati .” (“Terra, terra!...” Adelphi - pag. 309/310).

Queste parole venivano scritte nel 1969, ma esse rispecchiano l'uomo e lo scrittore anche delle opere precedenti. Come avrebbero potuto consentire, i circoli culturali dell'Europa occidentale degli anni tra il '50 e il '90 del novecento, che un simile autore fosse conosciuto dal grande pubblico? Che fosse candidato al Nobel per la letteratura ?


1 commento:

  1. Stamattina ho terminato di leggere questo libro che non è un romanzo, ma non è un saggio, è una specie di diario di questo grande scrittore europeo che abbraccia il periodo che va dagli ultimi sussulti della seconda guerra mondiale vissuti nella sua Ungheria,a Budapest, fino alla occupazione sovietica ed alla sua decisione sofferta di abbandonare la sua patria ovvero la sua lingua per un futuro incognito come era incognita l' orizzonte che le tre caravelle di Colombo affrontano nella speranza di gridare un giorno "Terra ,Terra !"

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