sabato 29 ottobre 2011

"L'eredità di Eszter" di Sàndor Màrai - Ed. Gli Adelphi

Foto ripresa dal sito dell'Editore


Non so che cosa mi riservi ancora il Signore. Ma prima di morire voglio narrare la storia del giorno in cui Lajos venne per l'ultima volta a trovarmi e mi spogliò di tutti i miei beni”.

Il romanzo è stato scritto da Màrai nel 1939, quando egli  ancora si trovava a Budapest prima del suo definitivo abbandono dell'Ungheria che avverrà nel 1948, ed è stato pubblicato per la prima volta in Italia, da Adelphi, nel 1999. Come in altre opere di Màrai, l'azione è concentrata in poche ore, nelle quali si dipana la vivisezione dell'animo della protagonista (che qui parla in prima persona) con una fluidità di linguaggio ed una profondità di analisi che non cessa mai stupire e di incantare il lettore (vedi, su questo blog, 7 settembre 2011,  “Divorzio a Buda”). Eszter vive sola, ormai da anni, in compagnia della fida Nanu, nella villetta di famiglia. In gioventù, un grande amore, mai sviluppato. Lajos, il brillante, l'incantatore, il millantatore, l'inaffidabile, Lajos, portato in casa dal fratello della protagonista, che ne è amico ed anche affascinato, fa innamorare di sé la giovane Eszter, ma ne sposa – senza amarla – la sorella. Lajos è quel che è, un soggetto pericoloso, ammaliatore, insidioso, ladro, debitore insolvente e spergiuro, ma non lo fa per cattiveria, è la sua natura, lui non ci vede niente di malvagio. Quando Vilma, sorella di Eszter, muore Lajos se ne va assieme ai due figli, sparisce, ma nel frattempo ha portato via ad Eszter, oltre all'anima, anche tutto quanto di materiale poteva portar via, solo la casa si salva, perchè Llajos non può smontarla e portarsela dietro. Niente altro è restato ad Eszter, neppure la forza di accettare l'amore di fedeli conoscenti, che continuano devoti a starle vicini e ad aiutarla in silenzio. Passano gli anni, fin quando Eszter riceve un telegramma di Lajos: egli annuncia la sua visita, assieme a non meglio specificati “altri”, una corte dei miracoli che poi il lettore scoprirà. Eszter capisce subito tutto e sa come andrà a finire. Lo ha sempre saputo, così deve essere e lei non si opporrà. “Gli amori infelici non finiscono mai”. Mirabile il passo del colloquio  al crepuscolo, a quattr'occhi, quando Eszter mente a se stessa cercando di tener testa a Lajos, sapendo di non volerlo fare. Sa che è venuto il momento dell'ineludibile spoliazione finale ed Eszter l'accetta: è quello che deve accadere, e che quindi accada, pur nella consapevolezza del raggiro ultimo e definitivo.

"Ma il vento, quel vento di fine settembre, che fino ad allora si era aggirato di soppiatto intorno alla casa, aprì con violenza i battenti delle finestre, fece sventolare le tende e, come se portasse notizie da lontano, sfiorò e mosse ogni cosa nella stanza. Quindi spense la fiamma della candela. E' l'ultima cosa che rammento. Ricordo ancora vagamente che più tardi Nanu chiuse le finestre, e io mi addormentai.”

Il Big Bang di Renzi

Si è aperta a Firenze la Convention di Renzi, alla quale è stato dato il  nome, augurale,  di Big Bang. L'iniziativa si svolge nell'aperta e dichiarata ostilità del gruppo dirigente del PD, che ha giustamente molto da temere qualora le posizioni innovative comincino fare breccia nel partito.
Chi ha paura di Matteo Renzi ? Che domanda "loffia", come direbbe il meridionale  D'Alema, al quale probabilmente il vocabolo fiorentino (recentemente da lui usato in una dichiarazione per definire le posizioni del Sindaco di Firenze) è stato suggerito da qualcuno dei non pochi adepti che egli continua ad avere in Toscana, vocabolo che questi ultimi  non osano profferire direttamente e lo fanno lanciare da un pulpito più autorevole, ridendo nell'ombra per lo sberleffo all'odiato nemico. La domanda è loffia perchè la risposta è scontata. Hanno paura di Matteo Renzi quanti, nel PD, contavano di continuare pacificamente e senza scosse la loro già lunga carriera come accadeva negli ultimi anni, a loro cari, della prima repubblica, sebbene a Firenze  ciò sia accaduto anche fino a poco fa, prima che arrivasse il ciclone. Com'era comodo quel sistema: oggi tu vai lì e così io vado là; domani tu vai a Roma ed io faccio il sindaco; tu fai il sindaco e io allora faccio l'eurodeputato; non sono più assessore e allora vado a presiedere il consiglio comunale,  e così via, l'importante, però,  è che siamo sempre tra di "noi" (nel Sud, questo meccanismo ha dei nomi ben precisi, sebbene con strumenti d'attuazione più sbrigativi). L'importante è che non entri di mezzo qualcun altro a scombinare i nostri iter professionali, che vanno avanti per anzianità ed hanno per obbiettivo quello di arrivare sani e salvi alla pensione. Basta vedere la situazione di Firenze, dove il peggior nemico della Giunta Renzi è una parte ancora cospicua del PD: si tratta della  ritorsione della passata, grigia ed ignava nomenklatura, finalmente sbaragliata, che da trentanni soffocava mortalmente la città e che adesso sta finalmente soffocando essa stessa, ma ancora si agita - pericolosamente -  con le ultime, disperate  forze che le son rimaste.          

venerdì 21 ottobre 2011

Pensieri in campo di un giocatore immaginario di una squadra di calcio immaginaria

Ovvia, su. Che palle anche oggi. O che si comincia di già ? L'arbitro ha belle fischiato il calcio d'inizio. Di già? O porca miseria, o dacci i' tempo di rifiatare, no ? S'è appena finito di salire le scale degli spogliatoi. No, no ... ma icchè tu fai ? Che dai la palla a me ? E siamo in undici, siamo, 'un ci son mica altro che io ! Ovvia, la ributterò in avanti, qualcuno la piglierà. Ecco, ora io, la mi' giocata l'ho belle fatta, eh ... 'un seguitate a tirammi ni' mezzo ... vu' ci siete anche voi. Maremma, che cardo. Qui va a finire che fo una bella sudata. O come corrano questi qui di casa, in do' lo trovano tutto questo fiato, tutto questo ardore ? Sembran pagati, pe' correre. Che gli ha morsi la tarantola ? Ma che ce l'hanno con noi ? Icchè vogliano ? Uffa, che mazzo che ci tocca a facci, anche oggi. Ma quante manca alla fine ? Ah ... siamo al quindicesimo di' primo tempo. Calma ragazzi, che per arrivare a i' novantesimo l'è lu.... cribbio, s'è preso gol. Vai, ora tu gli vo' sentire questi tifosi di mer ... ah, 'un si po' dire ... ma ci siamo intesi. Ma icchè son venuti a rompere anche qui in trasferta, 'un gli basta scassarci in casa? Sì, sì, ho capito, caro mister. Su i' fondo, su i' fondo, pe' crossare. Sìe, o 'un lo so: pe' crossare vo fino in fondo laggiù ... te tu' vaneggi .. e c'è un poco, di qui per arrivare su i' fondo. O vacci te, a crossare di laggiù. Ovvia, meno male, mister, tu mi sostituisci. L'era l'ora, 'un ne potevo più. No ? Nooo ? 'Un tu levi me ? Ah, tu levi lui, poerino, 'i tu coccolino, sennò si sciupa, vero ? Va bene, e se si perde icchè vol dire. La palla l'è tonda, si vince e si perde. Gli è un risultato anche questo. Del resto icchè si po' fare di più. Guarda qui, son tutto fradicio mézzo. O ... ma che devo fare ogni cosa io, qui ? O allungatela al portiere la palla, quarche vorta, maremma inguastita, che gli è lì senza fa' nulla. Guardalo bellino, par dipinto. Essai, lui 'un si move, sai.    Ora voglio vedere le pagelle domani, che voto mi danno dopo una prestazione così. Oh, guarda ... quasi quasi si pareggiava. E poi dicano ... s'ha sfortuna, s'ha, altro che. Oh ... oh ... m'arriva la palla ... l'è arta ... o porca maremma impestata ... di testa ? ... Sìe, di testa ... pe' vedere se mi spettino tutto .. ma che le passate tutte a me, queste palle ? E siamo in undici, siamo in undici ... che devo fare tutto io, eh ? Io di testa 'un la piglio, se la va fori, pazienza. Figurati se ora metto a rischio la permanente, stasera c'è la Gessica ... che coscia la mi' Gessica... via ora gli è meglio che 'un ci pensi. In do' l'è ?  'Un la vedo in tribuna. Ah, sì, eccola lì, l'era chinata, ma ora la s'è rialzata. Icchè la fa ? Ah .. la si ritocca iì rossetto. Eh, che donna: la s'è messa accanto a i' presidente, per digli una parolina bona pe' i rinnovo di mi' contratto. Oh ..  a che punto siamo, m'ero distratto. Sette! O Sette! Che si perde sempre 0-1 ? Via, su, tempo per pareggiare ci s'ha. Calma, calma, ragazzi, 'un vi fate prendere dalla frenesia, ragioniamo prima di giocare. Se si corre troppo, si ragiona male, e poi si perde. Manca ancora tre minuti di recupero ... maremma indiavolata ... o quante la dura questa partita ? Gli avevano anche da inventare i recuperi ... tra una cosa e un'altra la va sempre a finire che di minuti ce ne tocca giocare anche cento ... invece che novanta, che già sarebbero tanti. Calma ragazzi, con calma ... pe' pareggiare c'è ancora du' minuti, risparmiate un po' d'energie, sennò dopo vu' crollate. Oh ... l'era l'ora ... gl'ha fischiato. Bene, via. In trasferta perdere uno a zero ... è un buon risultato .. e soprattutto una grande prestazione, come dice sempre i' mister. Voglio vedere icchè gli hanno da bubare, oggi, questi rompiscatole de' tifosi.

martedì 18 ottobre 2011

Avanti così che si va bene: ma cosa vuole questo Renzi ?

Il PD è riuscito, sia pure per il rotto della cuffia, a perdere anche le elezioni nel Molise. Entusiasmo alle stelle in via del Nazareno, dove questa notte Rosy Bindi si è dovuta  affacciare alla finestra per salutare la festosa  folla che l'acclamava con cori ai quali era impossibile non  dare ascolto. L'impresa di perdere le elezioni nella Regione dell'alleato Di Pietro, pur difficile, poteva contare, è vero,  sull'aiuto offerto dall'ottimo momento, di largo favore popolare, di Berlusconi e  della sua maggioranza governativa alla quale appartiene Iorio, a sua volta favorito per la sua qualità di nome nuovo: è infatti solo al terzo mandato di presidente. La possibilità di perdere le elezioni del Molise pareva ad un certo punto messa in dubbio dalla decisione del centrosinistra, con le primarie, di scegliere come candidato un ex esponente di Forza Italia, poichè alcuni, nel PD, temevano che questi avrebbe potuto portarsi dietro, a suo favore,  una parte dei voti avversari, togliendoli al centrodestra. In parte ciò è avvenuto, ma non è stato sufficiente ed il PD può ora tirare un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo. Alla fine hanno avuto ragione quanti, nel PD, sostenevano che proprio  la candidatura dell'ex del centrodestra fosse invece particolarmente strategica, perchè avrebbe spostato sul movimento di Grillo una parte dei troppi voti del centrosinistra, quelli con i quali si sarebbe rischiata la vittoria. E così infatti è stato: l'implicito invito del PD agli elettori di sinistra  perché votassero per la lista Grillo è stato ascoltato nella giusta misura, e tutto è bene quel che finisce bene.  Non tutti sarebbero riusciti a centrare l'obbiettivo di perdere una ghiotta occasione come questa. Bersani, D'Alema ed il gruppo dirigente nazionale del PD sono a ragione soddisfatti: questo risultato, ottenuto in condizioni estreme per i motivi sopra detti, rafforza la loro posizione contro quella marginale fronda che vorrebbe (pensate!) un rinnovamento nella guida del partito. 

sabato 15 ottobre 2011

Un passo indietro, meglio due.

Dopo il voto di fiducia del 14 ottobre, si può dire che se il governo è moribondo, neanche l'opposizione si sente molto bene. Il governo Berlusconi morirà presto, sì, ma solo per autosfinimento, se non per suicidio, perchè i vari Bersani, Bindi, Franceschini, D'Alema, Casini hanno di nuovo confermato, se mai ce ne fosse stato bisogno, che possono solo prolungare l'agonia: del paziente (il governo) e, purtroppo, anche nostra (invece, sempre meno pazienti). Forse un passo indietro, ed un po' di autocritica, non va chiesto solo a Berlusconi, ma un po' a tutti. Invece, per sviare l'attenzione dalle proprie incapacità politiche, si inveisce contro i radicali, che però, come ha ammesso lo stesso capogruppo PD alla Camera, Franceschini (Repubblica.it 14.10.2011), sono stati ininfluenti per il numero legale ed hanno regolarmente votato contro la fiducia richiesta dal governo.
Espressioni di sobria soddisfazione dell'opposizione che torna in aula per il voto del 14.10.2011  dopo il risultato ottenuto sul numero legale  (da Corriere.it 15.10.2011 - Lingria) 

giovedì 13 ottobre 2011

Per non cadere dalla padella nella brace

La sconfitta del governo nel voto alla Camera sul Rendiconto 2010 potrebbe apparire come il suggello della fine dell'era berlusconiana. E' difficile pensare ad un semplice “incidente”, quando la mancata approvazione di un atto rilevante di politica economica - in un momento di gravissima emergenza come quello attuale - è determinata dall'assenza al momento del voto del Ministro dell'Economia, del quale sono ormai palesi i motivi di discordia col Presidente del Consiglio: al di là delle dichiarazioni di facciata, è poco probabile che quell'assenza sia stata puramente accidentale. Ugualmente, nel contesto generale non può esser creduta casuale l'assenza dal voto dell'ex ministro Scaiola, che è fra i capifila di quel gruppo di deputati dell'attuale maggioranza che auspicano un passo indietro di Berlusconi.
Il fatto accaduto è più grave degli altri “incidenti” che, soprattutto negli ultimi mesi, hanno fatto mancare la maggioranza al governo: infatti, finora si era trattato di singoli provvedimenti di natura marginale, questa volta la mancata approvazione riguarda un atto di importanza istituzionale.
La sensibilità democratica avrebbe voluto che il Presidente del Consiglio si fosse affrettato a presentare le proprie dimissioni al Presidente della Repubblica, il quale a sua volta avrebbe potuto concedere al governo la riprova, invitandolo a presentarsi alle Camere per chiedere la fiducia.
Il voto di fiducia probabilmente ci sarà comunque, pur senza passare per la presentazione delle dimissioni, e cioè come iniziativa propria del governo. Ed è qui che si aprono scenari interessanti.
Il governo, pur spesso soccombente in votazioni di routine, è però sempre riuscito a vedersi confermata la fiducia, sia pure con maggioranze risicate (certo, mai tanto risicate quanto lo era quella, al Senato, del precedente governo Prodi). Ciò è accaduto anche di recente, ed in questo senso è da inquadrare, senza qui fare commenti di merito, la stessa fiducia confermata al ministro Romano.
Tuttavia ci sono segnali che fanno dubitare che questa capacità di serrare le fila sia ancora un dato concreto. L'azione del governo è da tempo praticamente inesistente, non vi è capacità di proposta, non vi sono iniziative, molti dei singoli ministri sembrano ormai aver tirato i remi in barca in attesa degli eventi, senza parlare del Presidente del Consiglio, che appare incredibilmente il più sfiduciato di tutti verso sé stesso nonostante i voti di fiducia parlamentari che è riuscito ancora a raccogliere.
Il crescente malumore nella già ristretta maggioranza, il timore che Berlusconi conduca alla rovina, assieme a sé stesso, tante private fortune parlamentari se le prossime elezioni dovessero svolgersi ancora con lui candidato premier, potrebbero – nel contesto attuale – portare alla sorpresa di una bocciatura del governo in occasione del prossimo voto di fiducia.
Più che il frutto dell'azione, che appare sempre più impotente, dell'opposizione (per la quale in realtà si potrebbero aprire scenari paurosi, quando non avrà più di fronte a sé un Berlusconi da combattere, e dovrà quindi venire allo scoperto con idee e proposte proprie, che forse non ha), un eventuale voto di sfiducia potrebbe essere il primo passo di una strategia di difesa e di conservazione dello stesso centrodestra, che altrimenti,  in queste condizioni, sarebbe probabilmente candidato ad una rovinosa sconfitta elettorale.
Si tratta di vedere se i termini di questo scenario sono già stati definiti dagli attuali protagonisti della scena politica: è evidente che per un programma di questo genere, la caduta del governo Berlusconi non dovrebbe portare ad elezioni immediate, e nemmeno nella primavera del 2012: troppo poco il tempo per evitare, sul voto dei cittadini, le conseguenze del disastroso governo ancora in carica. Non per niente, questa delle elezioni rapide è la tesi cara - oltre che, a parole, allo stesso Presidente del consiglio, ma sempre più a titolo personale - soprattutto alla maggioranza del PD ed alla sinistra in genere: le "elezioni subito" consentirebbero loro una vittoria senza colpo ferire, anche senza idee e proposte da esporre; sarebbe sufficiente, per vincere, la pessima prova di sé che l'attuale governo ed il suo presidente hanno dato finora. Questa soluzione finirebbe per  perpetuare quel che è sempre accaduto dal 1994 ad oggi, con i risultati che abbiamo visto e che vediamo: ad ogni elezione, si sono alternati regolarmente al governo una volta Berlusconi (1994-2001-2008) e la volta successiva (1996-2006) i superstiti della prima repubblica ( D'Alema, Prodi, Rosy Bindi ecc.) . Ognuno, dal 1994 ad oggi, quando ha vinto, non ci è riuscito per la forza delle proprie idee, ma sfruttando passivamente la reazione dell'elettorato alla pessima prova fornita dal governo precedente, di qualunque colore esso fosse stato. E così sarebbe, con tutta probabilità, in occasione di eventuali elezioni a primavera 2012, dalle quali nascerebbe probabilmente un nuovo governo di centrosinistra tipo "ammucchiata" tra Fini, Casini, il PD, Di Pietro e Vendola il quale poi, per l'evidente incompatibilità delle sue componenti, come la famigerata "Unione" di Prodi (2006-2008) andrebbe subito in affanno e condurrebbe a nuove elezioni anticipate, che probabilmente  aprirebbero le porte (ormai lo sappiamo) ad un altro  governo Berlusconi, se questi sarà rimasto in politica. E così via ... finchè morte non ci separi (da tutti loro).
Forse, chi non vuol cadere dalla padella nella brace, o vuole almeno friggere in una  padella nuova  dopo aver cambiato anche l'olio, immagina, dopo la caduta di Berlusconi (ora, fra qualche settimana o al massimo qualche mese) un governo di decantazione con qualche connotazione tecnica che rassicuri soprattutto i mercati, dei quali colpevolmente in questo momento – al di là delle parole – tutti si disinteressano, compresa l'opposizione di centro e di sinistra, che non ha proposte da fare. Il nuovo governo potrebbe avere, da un lato, il compito di assestare in modo conveniente la manovra economica, avendo come punto di riferimento la lettera di agosto della BCE (e quindi coloro che non ne condividono i contenuti resterebbero all'opposizione) e, dall'altro, di mettere a punto una nuova legge elettorale che, togliendo di mezzo l'obbrobrio attuale (sperimentato per la prima volta, ricordiamolo, con la legge elettorale della Regione Toscana, a suo tempo concordata tra Martini e Verdini...), raggiunga un ragionevole compromesso tra le varie ipotesi che circolano, rendendo così inutile il referendum. In realtà, è difficile ipotizzare una sana legge elettorale che non sia il frutto di un compromesso tra le diverse opzioni auspicate dalle forze politiche che saranno le parti in causa.
Una volta conclusa questa operazione, si potrebbe andare alle elezioni alla scadenza naturale della primavera 2013, contando che nel frattempo tutto ciò che già si muove nei due fronti contrapposti attuali possa portare ad una scomposizione e ricomposizione su assetti diversi, ma soprattutto con una classe politica che, a prescindere dall'età, sia in grado di esprimere idee e non solo di occupare il potere come è stato con Berlusconi, Prodi, D'Alema, Bossi, Casini, Fini, Bindi e tutti gli altri loro comprimari  dal 1994 ad oggi.

mercoledì 12 ottobre 2011

"Non tutti i bastardi sono di Vienna" di Andrea Molesini - Ed. Sellerio

Il romanzo è ambientato nell'autunno-inverno del 1917 a Refrontolo, provincia di Treviso, a due passi dal Piave che gli austriaci, dopo Caporetto, cercano invano di passare. Refrontolo, piccolo paese agricolo, si trova nella zona già occupata dalla forze dell'impero austroungarico. Nella  villa della famiglia Spada si installa una guarnigione occupante, chiudendo in un angolo i proprietari, che assaporano quanto sia amaro esser ospiti in casa propria. La guerra, con le sue tragedie ed il suo sangue, è vicinissima, ma nel romanzo se ne avvertono solo gli echi, e se ne vedono gli effetti nei corpi martoriati dei feriti che vengono soccorsi a Villa Spada e nella chiesa del paese. I personaggi sono tutti ben delineati e credibili. Il nonno Guglielmo, vecchio mangiapreti, per dispetto alla chiesa di dice buddista e sotto i baffi (che poi si taglierà) sorride soddisfatto per come sua moglie lo tenga alla larga dall'amministrazione della casa e del patrimonio, dandogli modo di far credere che, chiuso nel suo “pensatoio” con la fida macchina da scrivere non a caso chiamata “Belzebù”, stia scrivendo un romanzo, che ovviamente non finirà mai. La nonna, la colta Signora Nancy, cultrice della scienza matematica, impersona perfettamente la padrona di casa austera, benché di libere e larghe vedute, che incute ed esige rispetto. Peraltro la conduzione della famiglia e della proprietà ricadono sulle spalle della nubile zia Maria, donna forte e concreta che dalla descrizione dell'autore emerge come dotata anche di un certo fascino e di una sua bellezza, doti alle quali non sembrano insensibili i comandanti delle due diverse guarnigioni che si alternano a Villa Spada. Questi rapporti di parentela (nonno, nonna, zia) conducono al personaggio narrante, il giovane diciassettenne Paolo, orfano di padre e di madre periti insieme in una sciagura mentre erano in viaggio. Attraverso gli occhi di questo ragazzo, Molesini ci fa entrare nell'atmosfera tragica di una comunità sconvolta dalla guerra e sotto il pugno ferreo degli occupanti. La durezza contingente accorcia le distanze di censo tra gli abitanti di Refrontolo, che si trovano uniti – signori e servi, padroni e contadini, prete e mangiapreti - per sopravvivere, ma senza pretese di eroismo. Paolo è un ragazzo che nel corso delle pagine del romanzo diventa uomo: lo diventa grazie al rapporto che nasce con la spregiudicata Giulia, più grande di lui, ormai una donna di venticinque anni, che abita da sola in una porzione di una villa vicina: ragazza bella e attraente, crudele e appassionata; e lo diventa – uomo – anche grazie alla conoscenza con Renato, toscano da poco assunto come custode della villa, il quale lo introduce alle attività di resistenza contro l'invasore, come Giulia lo introduce alle prime esperienze dell'amore adulto (col compiacimento di nonno Gugliemo che ovviamente scopre subito le prime tresche del nipote con la bella Giulia). Questi tre uomini, Gugliemo, Paolo e Renato, si trovano legati ad un destino comune sul quale si dispiega l'ultima parte della narrazione. E' proprio la crescita di Paolo in quei pochi mesi, il suo passaggio da ragazzo a uomo, il motivo conduttore del romanzo, col sottofondo delle tragedie della guerra, della quale a Refrontolo arrivano gli echi, e della altera dignità con la quale ricchi e poveri fanno fronte comune agli invasori, già inquieti  come se avvertissero i segni della definitiva disfatta che arriverà l'anno successivo. 
Un romanzo pieno, corposo, ben scritto, che si fa leggere fino all'ultima riga. Il titolo non è molto felice (potrebbe giustificare una protesta diplomatica da parte della Repubblica austriaca ...). Esso  è un mero pretesto: una frase gettata lì da un personaggio minore, frase che non ha niente a che vedere con la storia narrata se non per il riferimento a Vienna e – sotto sotto - per il richiamo ad una delle miserevoli conseguenze della penuria di cibo causata dalla guerra. Se qualcuno, prima di leggere il libro, cercasse di indovinare chi siano i bastardi che non sono di Vienna, sbaglierebbe sicuramente, ma non per la vastità della platea di riferimento.
Il romanzo di Molesini ha vinto il Premio Campiello 2011 ed il Premio Comisso 2011
Immagine ripresa dal sito dell'Editore

lunedì 3 ottobre 2011

In principio ...

Commentando sul Corriere della Sera del 30 settembre il recente saggio del matematico ed astrofisico Roger Penrose ”Dal Big Bang all'eternità” (Ed. Rizzoli), Giovanni Caprara illustra sinteticamente la teoria che vi è riportata, la quale cerca di dare la risposta al quesito concernente cosa vi fosse prima del Big Bang che, 13,7 miliardi di anni fa, avrebbe dato origine all'universo e quindi a cosa fosse dovuto questo primigenio evento che ancora manda a noi il suo residuo rumore di fondo. Secondo Penrose, si può ritenere probabile che l'universo nel quale siamo ora immersi faccia seguito ad un altro precedente universo, trasformatosi nell'attuale a seguito del Big Bang di 13,7 miliardi di anni fa (il termine Big Bang, ricorda Caprara, è stato introdotto dall'astrofisico, ma anche scrittore di romanzi di fantascienza, Fred Hoyle). Cioè, come dice Caprara: “Penrose ci spiega che l' universo è sempre esistito e sempre esisterà. Che l' universo nel quale noi viviamo è solo uno degli infiniti universi che in sequenza si succedono, uno dopo l' altro, per l' eternità. Ognuno di essi rappresenta solo un periodo di tempo, un «eone»: si origina da un Big Bang, si diffonde fino a dissolversi includendo i buchi neri grazie alla teoria di Hawking, ma creando nel contempo le condizioni per la successiva rinascita, il nuovo Big Bang”.
Converrebbe leggere il libro di Penrose, anche se questa è forse un'impresa ardua per noi profani dell'astrofisica, che ben poco ci capiremmo. Tuttavia il commento di Caprara offre una sintesi che pare abbastanza chiara anche per i profani, ai quali però sorge ora – rispettosissimamente – un dilemma. Avevamo finalmente capito che l'origine dell'universo era da ritrovarsi nel Big Bang, anche se non si sapeva come questo si fosse prodotto e cosa ci fosse prima. Ora apprendiamo che il Big Bang di 13,7 miliardi di anni fa ebbe origine da uno sconvolgimento che riguardò un precedente universo, anche il quale, a sua volta, era nato da un altro Big Bang prodottosi in un precedente universo, e così via a ritroso. Il profano, sicuramente sbagliando, con la sua inguaribile presunzione ed ottusità è indotto quindi a pensare che la ricerca sull'origine dell'universo sia tornata al punto di partenza: esiste un “primo universo” ? Cosa c'era ancora prima ?
Mancando sicuramente di rispetto agli scienziati, un profano ottuso ed irriverente potrebbe dire che, dopo tante ricerche, essi hanno scoperto che la gallina è nata da un uovo, e dopo altri approfonditi studi hanno accertato, quasi con certezza, che l'uovo era nato da una gallina vissuta in precedenza, la quale a sua volta ...
Un profano meno irriverente potrebbe invece riflettere sul fatto che la scienza ha svolto egregiamente il suo compito, osservando e spiegando tutto quello che poteva osservare e spiegare, e che il risultato raggiunto è probabilmente vero e rappresenta un grande traguardo, ma che ora la scienza lascia il campo alla filosofia, più adatta a speculare su concetti come “eternità” e “sempre” - l'universo è sempre esistito, gli universi si succedono per l'eternità, dice Penrose - di quanto non lo sia la scienza, che può darci una verità scientifica “solo” intorno a cose che hanno un inizio ed una fine. La scienza ha fatto quel che doveva e poteva: ci ha spiegato come è nato “questo universo” e come finirà (con un altro Big Bang, al quale seguirà un altro universo), ma contemporaneamente, ed è un gran merito, introduce altre domande per le quali essa stessa - richiamando i concetti di “sempre” e di “eterno” - ci indica di rivolgerci ad altre competenze.

Sir Roger Penrose è nato a Colchester (Essex, Inghilterra) l'8.8.1931. Ha studiato all'University College School di Londra e al St. John's College di Cambridge. Nel 1967 si è laureato in fisica a Cambridge.
Dal 1973 insegna matematica ad Oxford.
Per i suoi studi sulla struttura dell'universo, nel 1988 ha ottenuto il premio Wolf.