sabato 16 giugno 2012

"La vendetta" di Marco Vichi - Ed. Guanda

Chi aveva apprezzato il Vichi del Commissario Bordelli avrà forse qualche motivo di perplessità mentre legge "La vendetta", ultimo romanzo dello scrittore fiorentino. Qui il commissario dalla sigaretta perennemente accesa che scorrazza in San Frediano a bordo del suo vecchio maggiolino non c'è. Non c'è un delitto e non c'è un responsabile da scovare. E' già tutto scritto. Il romanzo parte da lontano,  siamo a Firenze (anche se non pare), verso la fine degli anni '30. Il giovane Rocco ha una vita normale, un lavoro, un grande amico, Rodolfo,  ed anche una ragazza, Anita. Ma questa improvvisamente lo lascia e dopo un po' scompare. Rocco viene a sapere che l'abbandono di Anita è stato causato da una menzogna del suo amico Rodolfo che, al solo scopo di mandare a monte il già programmato matrimonio, ha riferito alla ragazza di una inesistente relazione di Rocco con una certa Caterina. Ma Rodolfo sparisce,  mentre - di Anita - Rocco viene a sapere, dopo un po', che è morta tragicamente a Torino, dove si era trasferita e dove aveva iniziato una poco commendevole attività. Comincia per il giovane un'inesorabile caduta che  lo porta a lasciare il lavoro per finire a condurre una esistenza da barbone con residenza sotto un ponte dell'Arno, in coabitazione con un altro strano soggetto che si fa chiamare Steppa. Qui, è ben riuscito l'affresco della miseria putrescente nella quale conducono la propria esistenza i due poveri esseri umani.   Dopo molti anni dall'inizio della tragedia, accade un fatto assolutamente inaspettato: l'amico Rodolfo  torna a Firenze, ma adesso non è più il vitellone viziato degli anni '30: è un professore di fama di una università americana, addirittura un aspirante al Nobel  per le sue ricerche di biogenetica.  E a questo punto inizia la programmazione della vendetta, per la quale Rocco chiede l'aiuto di tale Bobo, reduce da Birkenau, del cui soggiorno porta pesanti tracce nel fisico e nello spirito.
Il romanzo è ben scritto e scorrevole, ma il contenuto delude non poco. La vicenda non è un granché e per impiantarci sopra un romanzo di duecento pagine l'autore ricorre ad una serie di trovate abbastanza improbabili (come improbabile è, del resto, la stessa vendetta) e fuori contesto, tra le quali un gratuito ed efferato omicidio che serve solo a tirare avanti per qualche pagina, ed una cena in arcivescovado il cui accesso nel romanzo non è dato sapere a quale fine sia dovuto, se non a quello di sparlare gratuitamente degli ecclesiastici in un momento in cui l'argomento parrebbe di attualità (predilezione per i prelati che Vichi ha del resto già mostrato in passato in "Morte a Firenze" del commissario Bordelli).  Abbastanza paradossale è poi, sul finire, una disquisizione pseudofilosofica sulla Natura e sulla Ragione, ma anche grazie ad essa il romanzo taglia, con un po' d'affanno, il traguardo delle duecento pagine (duecenouno per il "buon peso", come dicevano un tempo i pizzicagnoli quando incartavano la mortadella dopo averla fatta furbescamente rimbalzare sul piatto della  bilancia per far schizzare l'ago un po' più in su). Ma tanto, evidentemente, è bastato all'autore ed all'editore. Forse un po' meno al lettore, il quale, al termine, ha la  sgradevole sensazione di essere di fronte ad un fatto commerciale più che letterario e trova quindi conferma di un suo vecchio convincimento: che è bene scrivere un libro solo se si ha qualcosa da dire, altrimenti son tempo e soldi (degli altri) buttati al vento. E qui potrebbe prendere avvio una nuova vendetta (incruenta): quella appunto del lettore quando vedrà in libreria il prossimo romanzo di Marco Vichi.

mercoledì 13 giugno 2012

All'insaputa

Un ex assessore all'urbanistica della precedente giunta comunale di Firenze, a suo tempo dimessosi perchè indagato in una complessa indagine avente per oggetto i programmi edilizi nell'area di Castello, continua a svolgere la sua funzione lavorativa quale dirigente della Regione Toscana. Nell'ambito di questa sua attività, la Regione lo ha designato per far parte di un organismo che deve esaminare taluni aspetti organizzativi e funzionali del Tribunale di Firenze, legati all'informatizzazione dei servizi, esame che potrebbe concludersi con l'assegnazione di fondi  di 500.000 euro al suddetto Tribunale in base ad un bando della Comunità europea. Di questo organismo fa parte anche un magistrato. Questo magistrato è stato successivamente designato ad occuparsi, in quanto giudice, dell'indagine sull'assessore suo compagno di commissione. Poiché a Firenze come noto non  si può star dietro ad ogni sciocchezza, tutto ciò non ha destato l'attenzione di nessuno,  ad eccezione di un consigliere regionale dell'opposizione che evidentemente non aveva altro modo per occupare il suo tempo. Svelata la cosa sulla stampa, il Presidente del Tribunale non vi ha dato gran peso ed ha successivamente dichiarato, molto scaiolanamente, di essere stato all'insaputa che quell'assessore fosse sottoposto ad un procedimento giudiziario di competenza del Tribunale che lui dirige, nonostante che quella vicenda giudiziaria sia la più grave e clamorosa tra quelle degli ultimi decenni a Firenze. Alcuni magistrati, invece, hanno manifestato tutto il loro disappunto. Il giudice designato ad occuparsi dell'indagine sull'assessore (col quale aveva partecipato, fianco a fianco, alla presentazione ufficiale del progetto)  dopo aver chiesto conferma se era lui stesso l'interessato e se quell'ex assessore con quel nome e cognome era proprio quell'ex assessore con lo stesso nome e cognome (e non, in ipotesi, un altro ex assessore fiorentino indagato omonimo, come aveva pensato in un primo momento) , si è subito dimesso dall'incarico, senza porre tempo in mezzo.
Vi è stata una forte polemica in ambito giudiziario, ed è comprensibile.  Meno comprensibile è che sul versante politico nessuno si sia domandato per quale sbadataggine la Regione Toscana sia andata a scegliere, tra i propri dirigenti,  per l'appunto un ex assessore comunale indagato a Firenze, per designarlo quale referente di  un procedimento di attribuzione di un fondo di 500.000 euro all'ufficio giudiziario che dovrà giudicare proprio lo stesso assessore.    

sabato 2 giugno 2012

Com'è la salute della Sanità in Toscana ? Dalle lastre, un po' opaca.

La sanità in Toscana gode di molto credito. Grandi strutture, qualcuna forse eccessiva dati i tempi che corrono, tipo il ciclopico arco di trionfo del nuovo ingresso di Careggi a Firenze, o il nuovo atrio di Torre Galli, che fa venire in mente quello di  un efficiente e modernissimo aeroporto di una capitale scandinava.

Ma la sanità toscana attraversa comunque un momento critico. E' stata gestita per anni da un assessore molto attivo e presente, che però in ultimo ha dovuto lasciarla perché eletto Presidente della Regione. Non potendosene più occupare direttamente, ha scelto una assessora  "esterna", una manager tecnica. Una scelta che si immagina abbia fatto personalmente, come del resto gli compete; ma all'atto della composizione della giunta vi fu qualche mugugno da parte dei partiti di maggioranza, che si erano visti sfuggire il boccone più appetitoso (pare che in Toscana la Sanità gestisca il 70% di tutte le spese della Regione).  Poco dopo l'inizio della nuova legislatura regionale, emerse - pare per alcuni dubbi sorti per l'appunto alla nuova assessora -  il cosiddetto scandalo della ASL di Massa, ove - come si è saputo - a partire dal 2004 si era  andato negli anni formando un buco occulto nel bilancio che aveva raggiunto cifre considerevoli: si parla di oltre 200 milioni, forse 270. Ovviamente la responsabilità era dei pesci piccoli, che furono subito puniti, sospesi, indagati, mentre  l'attuale Presidente della Regione con civile furore - emersa la cosa -   fu il primo ad investire della questione l'autorità giudiziaria. Man mano che il tempo passava, la questione si è andata aggravando e si è arricchita di sempre nuovi ed interessanti particolari. In ultimo si apprende che l'assessora tecnica che era stata scelta dal Presidente per succedergli alla guida della Sanità toscana, ha pensato di dimettersi "per il troppo stress". Prima ancora che la notizia delle dimissioni  si propagasse nel mondo politico, essendo stata anticipata da un giornale di Firenze, il Presidente, con una tempestività veramente encomiabile, ha provveduto nottetempo  alla sostituzione, anche questa volta con un tecnico (evidentemente di sua fiducia, visto che non si è consultato con nessuno). Ciò ha fatto indispettire il suo partito, che si è trovato di fronte al fatto compiuto: vi sono state polemiche dichiarazioni del capogruppo in consiglio, vibrate proteste della segreteria regionale, e il presidente della commissione consiliare sulla Sanità (dello stesso partito) ha parlato, con amarezza e sconforto,  di pensare alle proprie dimissioni.  Infatti la nuova scelta "solitaria" del Presidente per colui che deve gestire quel che fu il suo regno per tanti anni, ha anche questa volta privato il partito dell'opportunità di indicare per la carica un proprio esponente politico. Nel frattempo pare che siano stati destinati ad altri incarichi vari funzionari regionali che si erano occupati dello scandalo dopo che era emerso. 
Ma improvvisamente è tornato il sereno. I malumori nel partito verso il proprio Presidente pare che si siano dissolti. Il presidente della commissione consiliare rimarrà al suo posto; il partito si congratula per la tempestiva decisione sulla sostituzione - effettivamente, riconosce, non si poteva fare altrimenti - ed un membro della maggioranza dichiara in consiglio che, se mancano 270 milioni, può anche darsi che non si sappia dove esattamente sono andati a finire, ma di una cosa egli è sicuro: non può esservi dubbio alcuno che siano stati comunque spesi per la sanità. Ed effettivamente deve essere stato senz'altro così. 
Ora, chissà se in Regione, a Firenze, vi sarà un "corvo" come in Vaticano. Ma il Presidente può stare tranquillo:  lui non ha (ancora) un maggiordomo (anche se quel consigliere di maggioranza viene su bene...). 

venerdì 1 giugno 2012

Una suora e tre preti (più uno) per un frate

Giovedì 31 maggio, cortile dell'ora d'aria dell'ex carcere delle Murate a Firenze, rimesso a nuovo dal Comune a costituire alloggi, spazi collettivi, momenti di socializzazione laddove un tempo soffocava l'anima dei carcerati. Nello stesso mese di maggio  nel quale,  nel 1498, arse il rogo di Piazza della Signoria, nella piacevole serata ancora indecisa se annunciare l'estate,  si leggono alcune omelie di Fra' Girolamo Savonarola. Lettura  intervallata da spazi musicali tra i quali spicca l'arpa celtica (tranquilli, niente di leghista) di Stefano Corsi, assieme al contrabbasso di Tommaso Faglia ed al flauto traverso di Alessandro Gigli. 
La domenicana  Suor Stefania Baldini ed i preti fiorentini Don Fabio Masi, Don Andrea Bigalli e Don Alessandro Santoro (preti non comuni, come sa chi li conosce) leggono alcune omelie del domenicano ferrarese che fu spina nel fianco del potere, di quello ecclesiastico e di quello  mediceo che pure l'aveva voluto a Firenze su consiglio di Pico della Mirandola. Un attimo di sgomento scuote l'uditorio dopo le prime frasi. Non è Savonarola, pensa qualcuno (anzi molti, o tutti); si è partiti dalle invettive scagliate dalla Basilica di San Marco, più di cinque secoli fa, per innestarvi sopra uno spettacolo attuale, con i fatti e le polemiche dei giorni nostri: il potere, il desiderio di apparire, una Chiesa inclemente ed arcigna, ricolma di fasto e di segni di distinzione, che nelle sue gerarchie mal sopporta - ora li minaccia, ora li blandisce con lusinghe - quei religiosi  i quali additano ad esempio la Chiesa di Cristo a Gerusalemme  e si ostinano a dire quel che dicono perchè così - e non il contrario -  è l'insegnamento delle Scritture: "carta canta".  Ma no, non c'è nessuna manipolazione, neppure a fin di bene: quelle parole sono proprio quelle che Fra' Girolamo scagliava con violenza dal pulpito sulle teste (dure) dei poco-fedeli che andavano a Messa in San Marco.  Il curatore Stefano Massini le ha solo riviste soprattutto sul piano linguistico, per renderle più accessibili alle  orecchie di noi uomini del terzo millennio. 
Lo spettatore è incredulo per l'attualità, e son passati più di cinque secoli. La Chiesa è ancora qui come allora, con i soliti peccati ma anche con qualche miglioramento, diciamolo per obbiettività: il papa di Savonarola era Alessandro VI Borgia . E qui - anche perché la Chiesa c'è ancora -  ci sono  i suoi preti e le sue monache di oggi: Suor Stefania, Don Fabio,  Don Andrea e Don Alessandro (ma ovviamente, nel bene e nel male, anche tutti gli altri: sì, proprio come nel '500). 
Nel cuore del vecchio carcere, tra le alte mura del cortile  spiato dall'alto  dalle strette finestrelle di quelle che un tempo furono le celle,  si avverte però un'altra presenza. Se ci si volta, lo si vede là in fondo, dietro l'ultima fila di spettatori; è seduto sul sellino della bicicletta, un piede in terra ed uno sul pedale, le mani sul manubrio.  E' un prete, un altro prete fiorentino molto fuori dal comune: è Don Cuba,  che, da cappellano delle carceri, qui, nell'aria opprimente di questo cortile e delle sue celle, portò per tanti anni il sorriso e la carezza della sua parola a chi non aveva altro conforto.


Siete gente arida, senza calore.
Siete gente falsa.
Falsa e misera, attaccata a quel granello di miseria che si chiama "Ego".
Esistete per voi stessi. Punto e basta.
E vi dite cristiani ? 

E' colpa mia se quel Dio a nome di cui parlo condanna le ingiustizie ?
Che devo fare ? Far finta che Dio non le condanni perché  a certi non gli va a genio ?
Chi comanda, Dio o loro ?
Cosa deve fare, Savonarola ? Cambiare quel che è scritto ?

Dio benedica quel tempo che dicevo,
quando le sedie stavano lì solo per sedersi,
i tavoli per appoggiarsi e i letti per dormire.
Siete una civiltà di pazzi, che oltre alla fede ha perso l'intelletto:
vi riempite le dimore di oggetti, di cose, di roba, di paccottiglia. 

La leonessa Chiesa è angosciata dal perdere potere
non sopporta nemmeno l'idea di scivolare un po', di arretrare,
di scender di posto:
vuole essere in cima a tutto, vuol regnare.

Se il baccano dell'insolenza dei potenti è così assordante
perché le mie parole sono sempre troppo forti ?
Perché mi fate cenno di abbassare i toni ? 

Solo alla verità chiedete di sussurrare.
Il male no.
Lui lo lasciate urlare. 

(da "Indignati - Prediche di Savonarola riscritte da Stefano Massini" - Edizionipiagge - Firenze)