mercoledì 26 dicembre 2012

L'abilità tattica di Monti

Subito dopo la conferenza stampa di Monti del 23 dicembre, molti commentatori hanno posto l'accento sull'attacco a Berlusconi e alcuni di essi hanno enfatizzato - chi con compiacimento, chi con polemica o con sarcasmi - il supposto “occhiolino” strizzato al PD.
Si può invece pensare che l'attuale premier, con la sua conferenza, abbia messo in mostra una capacità tattica in campo politico della quale pochi finora gli facevano credito. Egli si appresta ad essere competitore di Bersani e di Berlusconi. Ha un problema di spazio elettorale da conquistare: il vecchio centro dell'UDC è ormai rinsecchito e screditato, anche per la poca voglia di rinnovarsi; il nuovo centro pare ancora un germoglio al quale manchi il terreno per attecchire. Invece, sul centrodestra (che nel 2008 ebbe circa il 47% dei consensi) c'è una folla di elettori delusi dal berlusconismo i quali però pagherebbero oro pur di trovare il modo di far deragliare una seconda volta la “gioiosa macchina da guerra” del centrosinistra, il quale come nel 1994 si sente sicuro vincitore tanto da voler far credere che le prossime elezioni siano una mera formalità: si potrebbe anche non farle ed attribuire subito al PD quel 36% annunciato da D'Alema alla trasmissione  di Fazio e, con un'applicazione a tavolino della legge elettorale, dare d'autorità  a PD-SEL il 55% dei seggi parlamentari. E tutti a casa, felici di aver risparmiato un mucchio di soldi.
Se invece, con un inutile spreco,  le elezioni si dovessero tenere ugualmente nonostante vi sia già un vincitore autoproclamatosi,  Monti forse immagina  (se D'Alema si distrae un attimo) che, dei molti berlusconiani del 2008, alcuni andranno con Grillo, ma che buona parte di questi elettori moderati siano già suoi. Essi, decisi ormai ad abbandonare l'improponibile ex leader del centrodestra e non avendo altre alternative,  non hanno bisogno di lusinghe per appoggiare un'ipotesi Monti. E quindi, avrà pensato quest'ultimo, perché pagare un prezzo per avere ciò che già ci arriva gratis? Si può attaccare Berlusconi, sapendo che si perderà poco sul centrodestra.
Invece, attaccando Berlusconi si creano difficoltà a Bersani. Con un'agenda aperta alle istanze moderatamente progressiste, si confeziona una lusinga per le componenti meno radicali del PD, sia nel partito sia soprattutto nel suo bacino elettorale. Se molti moderati hanno votato Berlusconi solo perché diffidenti della sinistra, molti altri moderati hanno votato il centrosinistra solo perché disgustati dal berlusconismo. Questi ultimi vedono ora un leader a loro ideologicamente vicino, che non guarda con simpatia alla sinistra radicale e che contemporaneamente si mostra antiberlusconiano: è il massimo per chi finora ha votato  PD con un po' di mal di pancia e solo in odio a Berlusconi. Anche nell'elettorato della Lega vi sarà un'uscita dopo le ultime tristi vicende e, guarda caso, quell'elettorato – che non è certo di sinistra - è però nettamente contrario a Berlusconi. Per Monti, quindi, attaccare Berlusconi non pregiudica niente (o pregiudica poco) sulla forza attrattiva verso i berlusconiani delusi da Berlusconi, e nel contempo facilita l'acquisizione del consenso elettorale nell'area leghista antiberlusconiana e nelle componenti dell'elettorato PD che diffidano di Vendola e di Fassina non meno di quanto odino Berlusconi. Ed ecco che ora c'è Monti, alternativo alla sinistra radicale ma anche antiberlusconiano (tutte queste ripetizioni col prefisso “berlusc-” sono usate volutamente per rimarcare l'ormai soffocante oppressione di un refrain che ammorba – sia col “pro” sia con l' “anti” - la politica italiana da venti anni, nascondendo l'assoluta inadeguatezza della classe politica, come dimostrano i risultati ai quali si è giunti).
A conferma dei problemi che creerà al PD  l'iniziativa di Monti, anche per come è stata illustrata in senso antiberlusconiano, sta la sufficienza con la quale D'Alema, da Fazio, ha liquidato la “salita in campo” di Monti, e l'enfasi con la quale egli ha rappresentato Berlusconi come il vero ed unico avversario di Bersani. Beh, certo: senza avversari è facile vincere. E poi, si noti che già poche ore dopo la conferenza di Monti è giunta la notizia che Ichino ed altri quattro parlamentari del PD sono pronti a schierarsi con l'attuale premier. E' già iniziato lo smottamento?
Con buona pace di D'Alema, i competitori saranno quindi tre: Bersani, Berlusconi e Monti. In un normale Paese europeo, non ci sarebbe partita. Da noi purtroppo, dati anche i tempi ristretti, può darsi che invece la partita vi sia, e che il risultato sia ambiguo. Ma lo sarà temporaneamente. Infatti con l'iniziativa di Monti - anche per il modo col quale è essa stata presentata - si avvia una progressiva scomposizione del panorama politico e dell'offerta per gli elettori che porterà, tra l'altro, all'uscita di scena definitiva di Berlusconi, che sarà relegato a capo, un po' macchiettistico, di un ininfluente manipolo di parlamentari di estrema destra anti-euro ed antieuropeisti. Se invece, come vorrebbe D'Alema, la competizione fosse tra Bersani e Berlusconi,   questa volta prevarrebbe sì il primo, ma il secondo verrebbe di nuovo incoronato Capo Unico dell'Unica Opposizione (magari, pronto a rivincere la volta successiva), e si perpetuerebbe il disastro di questi ultimi venti anni. 

lunedì 17 dicembre 2012

"Eredità" di Lilli Gruber - Ed. Rizzoli


Il recente libro di Lilli Gruber è una storia romanzata di un periodo tormentato del Tirolo meridionale, il territorio di lingua tedesca compreso tra il Brennero e la Chiusa di Salorno.  Il cuore del romanzo è il periodo che parte dalla prima guerra mondiale, con la disfatta dell'impero austrungarico ed il passaggio di quelle terre all'Italia, e attraversa poi i tragici anni del fascismo e del nazismo, fino al secondo conflitto mondiale. Si tratta di una storia romanzata perché l'autrice prende spunto dalla storia della sua famiglia di parte materna, che era una delle più importanti di quella zona, per tracciare, col segno delle vicende di casa, anche quelle della sua terra, la “bassa atesina” posta al confine del mondo tedesco con quello italiano, il cui passaggio fisico, linguistico e culturale è dato dalla porta naturale della Chiusa di Salorno, il varco tra le montagne dopo Mezzocorona e prima Egna-Neumarkt, attraverso il quale passano, stretti a pochi metri di distanza, l'Adige, la ferrovia,  la statale e l'autostrada del Brennero.
La narrazione ha come fonte principale la vita e le testimonianze della bisnonna della Gruber, Rosa Tiefenthaler (cognome evocativo: letteralmente "della bassa valle"; e quella terra è chiamata appunto “bassa atesina” cioè bassa valle dell'Adige). Rosa è l'esponente esemplare di quel mondo asburgico geograficamente lontano dal centro dell'Impero ma completamente ed intimamente connaturato con esso. Una donna forte come le donne di montagna, intelligente, colta grazie anche allo stato sociale elevato della sua famiglia, moderna per tanti versi ma strettamente legata alla sua “Heimat” e quindi a tutto ciò che caratterizza questo sentimento, dal senso della comunità e della famiglia, all'attaccamento all'imperatore Francesco Giuseppe,  ad una religiosità connaturata, ma non per questo meno sincera e profonda.
La caduta del vecchio mondo e l'occupazione italiana vivono, silenziose e dolorose, nelle lacerazioni interiori di Rosa Tiefenthaler e nella sua capacità (che è solo delle donne) di tenerle racchiuse in sé a difesa della famiglia. La famiglia - una grande, commovente famiglia - è il cuore del romanzo storico; la famiglia e le radici, l' “Heimat” efficacemente descritta come qualcosa di più del concetto nostro di Patria: territorio natio, popolo del quale siamo espressione, usi e abitudini, paesaggi familiari, cultura, modi di vivere, religiosità, quel comune sentire, un'appartenenza, la zuppa di vino ed il Kaiserschmarren, un complesso di elementi umani fusi in un crogiuolo dal quale esce una lega che permea fortemente il Tirolo meridionale come tutto il mondo tedesco. Il suffisso “-heim” che ricorre in tanti toponimi e vocabili tedeschi, è un'applicazione del concetto lato di “Heimat”.
Sul piano storico, il merito dell'autrice è quello di aver descritto molto bene il rapporto tra i sudtirolesi, il fascismo ed il nazismo. Rapporto che nel libro viene spiegato partendo appunto dal concetto di “Heimat” proprio di un popolo accesamente antifascista perché oppresso ed occupato dagli italiani e perché testimone diretto delle nefandezze del regime; ma talora anche -  contemporaneamente, e quindi sorprendentemente per noi italiani - filonazista, nella speranza della riunificazione sotto l'egida del “Deutschtum” (la “germanicità”), una speranza coltivata anche a causa di informazioni frammentarie, errate e comunque lontane, sulle altre nefandezze di oltre Brennero. L'Anschluss hitleriano col quale la Germania si era annessa l'Austria, e quindi anche il Tirolo settentrionale stretto attorno ad Innsbruck, fu il seme che dette vita all'illusoria speranza di tanti sudtirolesi di un secondo Anschluss, quello che avrebbe dovuto riunire nel mondo tedesco anche il loro Tirolo passato all'Italia fascista, quello che aveva per capoluogo Bolzano. Ma quando Hitler scese in Italia per la visita a Mussolini, il suo treno passò veloce e a finestrini chiusi attraverso il Sudtirolo, lasciando con un palmo di naso i tanti che si erano radunati nelle stazioni e che si attendevano un fuhrer che si fermasse e si mostrasse, benedicente, per promettere la prossima riunificazione. Hitler aveva più a cuore di tenersi buono l'alleato Mussolini delle aspirazioni irredentistiche dei tirolesi. Ma in molti la speranza fu dura a morire; tra questi la stessa figlia minore di Rosa Tiefenthaler, Hella.

Parlando di queste vicende storiche, il lettore italiano non può che guardare con rispetto e vicinanza alla sorte che toccò al popolo tirolese: l'occupazione, l'imposizione linguistica, l'italianizzazione dei cognomi col paradosso di portare i fratelli a ritrovarsi con cognomi italianizzati diversi a seconda di chi ne aveva curato la “traduzione”, per finire con le “opzioni”, regola agghiacciante con la quale la Germania e l'Italia avevano concordato - ormai alla vigilia della disfatta nella guerra – che i tirolesi scegliessero: restare nella loro terra, accettando l'italianizzazione, o restare tedeschi, lasciando però lì tutto quel che avevano per migrare altrove – e chissà dove: Polonia, Romania, Ungheria - sotto l'egida del Reich. Trovata letteralmente diabolica (dal greco dia-ballo, separare. Il diavolo: colui che separa e divide l'uomo dalla sua radice spirituale). Ma per l'evolversi degli eventi  bellici le "Optionen" ebbero un'applicazione limitata.

E del resto dalla stretta porta di Salorno  non son passati solo soldati e guerrieri armati, ma  - in un senso e nell'altro - anche il meglio dei nostri due mondi. Vi sono passati Goethe e Mozart, non solo Hitler. Vi è passato il rinascimento italiano ed i suoi splendori, la grande musica tedesca ed il pensiero di filosofi immortali. Un'apertura tra le montagne - non una "Chiusa"! -  verso la quale si accorre da sud e da nord per incontrarsi in amicizia e far festa.        


Nella narrazione di Lilli Gruber vi è, da un lato, la partecipazione alla tragedia del Sud Tirolo italianizzato, e quindi l'ancoraggio alle sue radici ed alla sua "eredità" (sebbene l'autrice precisi di non sentirsi né italiana né tedesca, ma europea) e, dall'altro, l'assenza di ogni richiamo retorico alle posizioni nostalgiche, verso le quali traspare anzi un po' di fastidio.

Un libro molto bello ed istruttivo che - tra le altre cose - conferma quante conseguenze nefande e spesso irrimediabili porti con sé la pretesa di violentare un popolo nella sua intima essenza: il territorio, la lingua, il senso della propria comunità, la cultura.