lunedì 26 novembre 2012

"Italiani di domani" di Beppe Severgnini (Rizzoli)



“Italiani di domani – Otto porte sul futuro” è l'ultimo libro di Beppe Severgnini ed è dedicato ai giovani. L'intuizione è nata nelle Università, nelle quali il giornalista del Corriere della Sera spesso porta il germe della propria esperienza e del proprio spirito di osservazione e di originale elaborazione, ma il prodotto che ne è scaturito non è rivolto ai soli universitari. Esso è diretto ai giovani di oggi, ai figli dei padri e delle madri nati negli anni '50 e '60, alla prole della nostra fallimentare generazione che molto ha consumato e niente ha costruito, la quale lascia solo molte macerie da sgombrare - e non solo quelle economiche.
Oltre la forma, in Severgnini come al solito accattivante, questo libro è una richiesta di perdono accorata, sebbene implicita e nascosta,  a nome di questa generazione, rivolta a chi - i nostri figli - dovrà porre rimedio a tanti disastri. Una richiesta di perdono che si cela dietro una serie di suggerimenti che nascono da un'analisi del presente  precisa ed impietosa, condotta su un tono a volte ironico e a volte appassionato, talora con una venatura di amaro, ma sempre colmo di speranza e di fiducia nella gioventù di questo inizio di millennio. Un incitamento commosso, da genitore a figlio e quindi denso di amore e di premura, di fiducia, di partecipazione e di tenero rispetto. Un invito che si svolge attraverso lo sviluppo di otto elementi, le otto “T”, secondo il gusto severgniniano degli elenchi: Talento/Siate brutali; Tenacia/Siate pazienti; Tempismo/Siate pronti; Tolleranza/Siate elastici; Totem/Siate leali; Tenerezza/ Siate morbidi; Terra/Siate aperti; Testa/Siate ottimisti.

 In realtà, a prescindere dalla lista, il libro è una lunga chiacchierata che un padre potrebbe fare col proprio figlio nel pomeriggio di una piovosa domenica autunnale, seduti sul divano di casa - un padre o una madre, l'uno o l'altra con un figlio o con una figlia, ovviamente.

Si parte con alcuni punti fermi di carattere generale: “Stabilite le vostre regole: non si ruba, non si mente, non si imbroglia”;“Il peccato più grave è convincerci dell'inutilità dell'onestà”; Compromessi: “qual è il metro di giudizio? Semplice: se diventassero pubblici, non devono metterci in imbarazzo.”

Sulle responsabilità dei cinquantenni-sessantenni nei confronti dei loro figli: “I vostri nonni bene o male, hanno ricostruito l'Italia; ma i vostri genitori – la mia generazione – non hanno agito con altrettanta lungimiranza”. Sempre su questo tema: “Il tornado della recessione vi ha accolto fuori dal porto ... Avete tra i piedi un po' di sessantenni rassegnati, di cinquantenni opportunisti ... Forza e coraggio: è l'atteggiamento che cambia l'umore, la vita e la storia. Se scegliete di essere sconfitti prima di aver perso, diventerete la generaciòn amargada la generazione avvilita. Suona bene, ma fa male.”

L'autore invita i giovani ad essere aperti al mondo e curiosi di apprendere, a non disperare di poter trovare un lavoro che soddisfi ad un tempo la propria passione e le proprie attitudini; dovendo scegliere, però meglio tener conto delle attitudini. Altro invito, prima sconcertante e poi fulminante: “Rinunciate ad un buon inglese (serve un inglese ottimo)”. “Fare meno cose, farle meglio. Dare tempo all'imprevisto e spazio alle novità”. Le radici hanno valore, prima o poi vi si torna, ma prima bisogna volare nel mondo: “...la provincia è bella e consolante. ... La provincia è un luogo dove si confezionano miti. ... La provincia italiana è questa combinazione di sensualità e normalità, grinta e mollezza, furbizia ed ingenuità, originalità e incoscienza, grandi progetti e – talvolta – piccoli orizzonti. Tenetela da conto, se ci siete nati e cresciuti. Scappate per tornare. Però, prima, scappate.” Ahi noi, poveri padri. Possiamo solo aggiungere: “Sì, però - dopo - tornate!”

Sul valore della lealtà nella della difesa delle proprie opinioni: “Trovare un modo di dar ragione alla propria parte anche quando ha torto! Questa è la sfida. Noi ragioniamo ... come uffici stampa dedicati ad un cliente che non ci paga ... Della nostra squadra non siamo solo tifosi, siamo avvocati difensori ... Dire la verità, nell'Italia faziosa, viene considerato un tradimento, se la verità danneggia la propria parte ... Quando parlate della vostra parte politica, della vostra azienda o della vostra professione o della vostra categoria, cercate di essere leali. L'obiettività non esiste; ma esiste la tensione per arrivarci, ed è questa che ammiriamo”.

Un libro per i giovani che ogni genitore vorrebbe aver scritto i propri figli; ma non ci sarebbe riuscito, perché non è facile avere quella dote che una studentessa di Parma, citata nelle ultime righe del libro, riconosce al “docente” Severgnini in raffronto ai docenti di quella Università: “... Sa perché veniamo in tanti alle sue lezioni? Non perché abbiamo letto i suoi libri o la vediamo alla televisione. Veniamo perché lei è il più vecchio di noi, e non il più giovane di loro.”

martedì 13 novembre 2012

Cinque sfumature di grigio

Il confronto su Sky tra i candidati alle primarie del centrosinistra non è parso un granché. I cinque contendenti sono sembrati un po' rigidi ed impalati, attenti soprattutto a seguire diligentemente, con dedizione curiale, la liturgia tradizionale di quella parte politica. Anche Renzi, che pure ha lanciato qualche fuochetto pirotecnico, ha tenuto un atteggiamento più sobrio e misurato del solito. E' probabile che Tabacci, Puppato, Renzi, Vendola e Bersani  siano stati condizionati dall'esigenza di dare agli spettatori un'immagine il più possibile unitaria(o forse si siano accordati preventivamente in tal senso), visto che è proprio la previsione della mancanza di coesione - alla luce delle precedenti esperienze degli effimeri governi Prodi - uno dei più rilevanti dilemmi dell'elettore ancora incerto.
Pur coprendo un'area di opinione abbastanza ampia, dall'ex berlusconiano Tabacci a Vendola,  i cinque hanno cercato di attenuare le differenze finendo quindi per confluire su una linea certo non univoca, ma comunque assai moderata almeno rispetto alle attese. Sintomatico  che i due più a sinistra (Vendola e Bersani), chiamati ad indicare una figura di riferimento, si siano richiamati a due personalità ecclesiali, un Cardinale ed un Papa. Puppato, anch'essa caratterizzata a sinistra con toni a volte un po' settari, ha fatto il nome di due donne ex parlamentari - una democristiana, Tina Anselmi, l'altra comunista, Nilde Iotti - entrambe cattoliche, come cattolici (ma non ecclesiali ) sono stati i riferimenti di Tabacci a De Gasperi e a Giovanni Marcora, punto di riferimento, quest'ultimo, dei democristiani lombardi della sua generazione, quand'egli era giovane.
Sui contenuti e sui programmi, il desiderio di piacere a tutti ha annacquato le risposte dei candidati e qui il grigiore ha raggiunto i livelli massimi, anche se ognuno ha proposto una propria angolatura dei singoli problemi. Ma si sa che ormai in Italia la politica non si occupa più di programmi, ma di propaganda e di posizionamenti tattici. Un po' più vivace la posizione sul "caso Marchionne", ma solo perchè la politica italiana -  come si diceva: priva di idee -  si scalda solo quando può assumere una persona - che già esiste e quindi non richiede lo sforzo di crearla - per ruotare intorno ad essa il panegirico o l'aggressione. Questo è meno faticoso di elaborare un'opinione originale ed efficace su un  problema reale.      
Più interessanti le risposte alle domande finali sulla coalizione che ciascuno dei cinque preferirebbe guidare se vincesse le primarie e le elezioni successive. La domanda, di per sé, poteva apparire oziosa, dal momento che i cinque si contendono l'investitura in "primarie di coalizione"  e quindi la coalizione dovrebbe essere quella nel cui perimetro si colloca la propria candidatura. Se uno di loro non gradisse la presenza nella coalizione di una delle forze delle quali sono espressione gli altri quattro, l'asino cadrebbe subito: costui non avrebbe titolo di concorrere alle "primarie", se è pronto a rispettare la coalizione solo a condizione che vinca lui,  o un candidato affine. 
La questione rappresenta un nodo particolarmente intricato. Nelle settimane scorse era parso che Vendola avesse qualche dubbio ad appoggiare un governo presieduto da Renzi ed una analoga perplessità, pur non espressa,  poteva essere immaginata anche in senso opposto.  Nel PD, poi, si ipotizzava che l'eventuale prevalere del Sindaco di Firenze, pur dello stesso partito, potesse causare una levata di scudi  di alcuni anziani ma ancora autorevoli esponenti: D'Alema aveva dichiarato apertamente che in caso di  vittoria di Renzi alle primarie avrebbe "dato battaglia". E sarebbe poi singolare immaginare una Rosy Bindi che accettasse un ministero sotto la guida di Renzi. Ma qui i candidati sono stati abili ed hanno circoscritto i propri distinguo all'eventuale rapporto con una forza extra-primarie come l'UDC,  chi per escluderla decisamente (Renzi e Vendola) o implicitamente (Puppato), chi  per accoglierla (Bersani), chi per fare il pesce in barile (Tabacci).
L'esito delle primarie del centrosinistra vedrà probabilmente prevalere Bersani (magari dopo un ballottaggio con Renzi), poichè l'apparato avrà il suo peso e gli esterni al PD disposti a votare Renzi avranno qualche difficoltà procedurale per esprimersi ai seggi, ma soprattutto qualche remora legata al desiderio di non assumere impegni, neppure morali, sullo schieramento da votare alle elezioni politiche qualora il centrosinistra non fosse guidato dal sindaco di Firenze, nell'ipotesi che nel frattempo l'offerta politica potesse arricchirsi di qualcosa di nuovo.   In caso di ballottaggio, poi, la naturale riduzione dei votanti  al secondo turno si tradurrà in un vantaggio per Bersani. 
Alle elezioni, data l'attuale offerta politica, pare inevitabile che pevalga la coalizione di centrosinistra guidata da Bersani ed è altrettanto probabile che essa però non raggiunga una forza elettorale tale da far scattare il premio di maggioranza (sul quale peraltro ancora si dibatte). In questo caso il risultato sarebbe certo: governo centrosinistra-UDC guidato da Bersani,  con Casini che, in cambio dell'appoggio determinante al governo  da parte dell'UDC ed alla "rinuncia" alla conferma di Monti come premier, verrebbe eletto Presidente della Repubblica dalla stessa maggioranza governativa. E' questo del resto l'obbiettivo evidente del leader dell'UDC. Ed è per questo che Casini ha votato col vecchio centrodestra per un premio di maggioranza alto e quindi difficilmente raggiungibile al momento attuale data la frammentazione del prevedibile consenso elettorale.  Infatti, se la coalizione di centrosinistra (PD-SEL-API-PSI) ottenesse il premio,  raggiungerebbe la maggioranza dei seggi in via autonoma e l'UDC non sarebbe decisiva. E se l'UDC non sarà decisiva Casini non avrà corrispettivi da offrire per chiedere in cambio il  Quirinale per sé stesso (in questo caso il "ticket" sarebbe:  Monti Presidente della Repubblica e Bersani Presidente del Consiglio).  
Ma si ha l'impressione che i giochi non siano ancora fatti del tutto.
La scomparsa del PDL ha lasciato orfani di una casa molti elettori che, pur ormai nauseati dal berlusconismo, neppure sono propensi a votare per il centrosinistra. Se nulla si muove, finiranno per astenersi (nei sondaggi ora sono catalogati tra gli "indecisi" e come tali sono forse il primo partito), ed allora si avvererà il successo del centrosinistra. Se invece - ma il tempo scarseggia - qualcuno creerà una nuova casa, più presentabile del PDL, allora i giochi potrebbero riaprirsi: non certo per un successo maggioritario di quest'area moderata ancora da creare,  ma perché essa potrebbe assorbire consensi almeno tali da far mancare una maggioranza alla coalizione in itinere  "centrosinistra-UDC".  E qui allora non resterebbe spazio che per un "Monti bis" con appoggio bipartisan e con un esponente del centrosinistra al Quirinale, dato che quest'ultimo schieramento, che avrà probabilmente la maggioranza relativa, non potrà restare del tutto a bocca asciutta . Questa è l'ipotesi peggiore per le ambizioni presidenziali di Casini.

Se invece le primarie del centrosinistra le vincesse Renzi ...

domenica 11 novembre 2012

Politica, truffe e ricatti.


In questi giorni si dibatte sulla legge elettorale e ci si accapiglia su quale debba essere il limite per aver diritto al premio di maggioranza. Dopo l'ultimo passaggio, pare che sia stato fissato al 42,5%: la coalizione che raggiunga tale soglia, avrà in dono un ulteriore 12,5% e quindi si vedrà assegnare il 55% dei seggi della Camera e del Senato (le altre forze, ovviamente, avranno una rappresentanza inferiore a quella che spetterebbe loro in relazione ai voti ottenuti).

Quello che sorprende è che a molti tale soglia del 42,5% del consenso elettorale per avere il 55% dei seggi parlamentari paia troppo alta. Però nel 1953 la sinistra infiammò le piazze contro quella che fu definita la “legge-truffa” di De Gasperi e Scelba, la quale attribuiva un premio del 10% alla coalizione (allora centrista: DC-PRI-PSDI-PLI) che avesse ottenuto almeno il 50% dei voti. Quella era una legge truffa. Oggi invece sarebbe una legge truffa quella che non consente alla coalizione che abbia appena il 30-35% dei voti di avere in premio la maggioranza dei seggi come se avesse ottenuto il 55%.
Il concetto di “truffa” deve aver subito una profonda evoluzione, negli ultimi sessantanni.


In un sistema di democrazia parlamentare quale è quello previsto dalla nostra Costituzione, in teoria la soluzione elettorale migliore sarebbe quella del proporzionale puro, senza soglie d'ingresso - poichè tutte le opinioni presenti nella società hanno diritto ad una proporzionale eco in Parlamento -  e senza premi che diano la maggioranza a chi non l'abbia nel Paese. Tuttavia, dovendo fare i conti con l'esigenza della governabilità, si può accettare (a malincuore) una soglia minima di ingresso ed un premio alla coalizione che manchi solo di poco il 50,1%. Ma non certo un premio che dia il 55% dei seggi a chi abbia ottenuto solo il 30% di consenso da parte degli elettori: questo non sarebbe un premio, questo sarebbe un golpe. Probabilmente anche il Mussolini ormai in rotta aveva ancora almeno il 30% di consenso nel Paese, però avevano ragione i partigiani.
E poi, dov'è scritto che una coalizione di minoranza debba avere per sé tutto il potere col pretesto di dovere assicurare la governabilità? Rinunzi ad una parte del proprio programma (visto che non è stato condiviso dalla maggioranza del Paese) e cerchi un'alleanza con altri in Parlamento.


E' vero che questo favorisce i ricatti delle forze intermedie che, pur avendo uno scarso seguito elettorale, possono far pendere la bilancia da una parte o dall'altra in Parlamento tenendo sotto scacco forze rappresentative di ben maggiori quote di consenso. Questo è un male, ma a ben vedere forse è il male minore rispetto a quello di avere un Parlamento occupato da una minoranza che si appropria per cinque anni di tutto il potere. E poi, se chi ha il 7% ricatta chi ha il 45%, potrà a maggior ragione accadere anche il contrario. E gli elettori, di fronte a simili comportamenti, potranno tenerne conto alle elezioni successive.


Del resto, non pare che gli attuali ultimi sistemi elettorali basati su premi di maggioranza (di cui hanno alternativamente beneficiato centrodestra e centrosinistra) abbiano evitato ribaltoni e ricatti, e quindi instabilità dei governi. Abbiamo visto gruppi di parlamentari eletti in una coalizione staccarsene e passare all'oppozione, ed essere sostituiti nell'appoggio al governo da parlamentari eletti con l'opposizione. I ricatti ed i mercanteggiamenti non si evitano con le leggi elettorali: semmai si puniscono col voto degli elettori.








venerdì 2 novembre 2012

Una crocetta sulla mafia.


Il neo eletto Presidente della Sicilia in una delle sue prime esternazioni ha dichiarato che con la sua vittoria la mafia ha chiuso e può cominciare a fare le valigie. Certo, come dubitarne ?

Però, gli astenuti questa volta hanno superato il 50% ed alle urne è andato solo il 47% dei siciliani.  Sembra un po' strano che, alle elezioni nell'isola, la mafia si astenga per puro spirito di neutralità tra le parti in causa: sarebbe la prima volta. Forse, allora, Crocetta è arrivato tardi: la mafia già prima aveva fatto le valigie e se ne era andata ?   
Intanto  a Crocetta, pur eletto presidente, mancano i voti per formare una Giunta (quella che dovrebbe far sloggiare la mafia dalla Sicilia, se c'è n'è ancora rimasta qualche traccia) e pare che, per questo, stia pensando ad una alleanza con l'ex presidente Lombardo e con Miccichè. Alla luce di queste notizie,  si può immaginare che gli ultimi coaguli mafiosi, spaventati a morte da simili giustizieri, stiano anch'essi precipitosamente fuggendo dall'isola...

Che dire ? Tutti con Crocetta, ovviamente, ma ....