martedì 11 settembre 2012

"L'isola" di Sàndor Màrai (Ed. Adelphi)


Il dottor Askenasi, docente di greco antico, sta facendo un breve viaggio sulla costa adriatica: ha deciso di prendersi due settimane di riposo, “in un posto tranquillo”. Lui ha sempre preferito i “posti tranquilli”, quelli dove non va nessuno perché è certo che ci si annoia. A lui del resto piace annoiarsi, tutta la sua vita fino ad allora (ha 48 anni) è stata una noia cercata, un'assennatezza esasperata, un rifuggire i divertimenti. Conoscendolo, i suoi amici gli hanno appunto consigliato “un posto tranquillo” per passare un paio di settimane allo scopo di superare il delicato momento causato da problemi sentimentali. La tumultuosa – incredibile per lui ! - relazione con la giovane ballerina conosciuta a Parigi gli ha fatto abbandonare la moglie e la figlia e lo ha consegnato ad una vita che non è la sua, ma che solo con grande fatica alla fine abbandona. Attende delle risposte, Askenasi, ma la giovane e bella Eliz non gliele dà.
Viktor Hector Askenasi è quindi in viaggio solitario, per mare, verso le isole greche che aveva visitato da giovane. Ma all'improvviso - cosa per lui insolita - decide di cambiare programma. Lo troviamo che soggiorna in un albergo pretenzioso, l'Hotel “Argentina”: già villa di un nobile locale in disgrazia, trasformata in un albergo che non riesce a mantenere i fasti che la residenza ha avuto in passato. Qui non si fa coinvolgere nella chiassosa e variegata compagnia degli ospiti dell'albergo, anch'essi pretenziosi ma di terz'ordine a testimoniare quanto sia decaduta la vecchia, splendida villa sul mare. Un afoso pomeriggio, dopo pranzo, nota una donna bella e misteriosa,  anch'essa ospite solitaria, che alla reception chiede la chiave della sua camera con voce insolitamente alta, come se volesse farsi sentire da lui, come se volesse fargli sapere il numero della sua camera.
Neppure la misteriosa ospite dell'Argentina darà ad Askenasi le risposte che attende da una vita. Egli, del resto, non avrà neppure il tempo di porgliele.
Ma da questo episodio troverà la forza di farle a chi può dargliele veramente, le risposte, dopo essere approdato, a tramonto inoltrato, dopo mezzora di barca a remi, sull'isola antistante (Lacroma, davanti a Dubrovnik, anche se il nome dell'isola non viene citato), un rettangolo irregolare disabitato con alcuni ruderi di un antico monastero e i resti del giardino di Massimiliano d'Asburgo. Sul punto più alto dell'isola, dal quale si distinguono i bastioni di Dubrovnik e le case della città, Askenasi passa la notte a fianco di una pietra regolare che potrebbe essere un altare pagano, e qui, guardando il cielo nerissimo e senza stelle, trova tutte le domande da fare. Ma non trova le risposte.
Il romanzo fu scritto nel 1934, quando Màrai aveva trentaquattro anni, e quindi un anno prima di "Confessioni di un borghese", autentico capolavoro dello scrittore ungherese  (su questo blog, post del 12.1.2012).  Nell'opera, che non è tra le migliori di Màrai, si ritrovano i temi ed il registro degli altri romanzi meglio riusciti come “Le Braci”, “Divorzio a Buda” (su questo blog, post del 7.9.2011) e “L'eredità di Eszter” (su questo blog, post del 29.10.2011):  l'esasperato sondare i più nascosti recessi dell'animo con una straordinaria capacità descrittiva ed una grande padronanza della “parola letteraria”, sul filo del consueto tema: la ricerca assillante di una risposta inseguita per tutta la vita - la fase finale di questa ricerca, quando il protagonista crede di aver raggiunto chi può dargliela.

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sabato 8 settembre 2012

Cosa ci aspetta


In uno dei suoi migliori articoli sul Corriere della Sera, Michele Ainis ieri ha delineato con sobria ironia il futuro scenario della politica italiana, quello che dovrebbe trovare attuazione nel 2013. Da quel che si sa negli ambienti ben informati, i giochi sono già fatti e gli accordi quasi conclusi: Prodi Presidente della Repubblica, con l'eventuale alternativa di Casini, se l'UDC dovesse essere decisiva per la futura maggioranza, Bersani Presidente del consiglio e ministro dell'Economia, D'Alema agli Esteri (o terzo incomodo per il Quirinale, non si può mai sapere come andranno queste cose ...), Letta allo Sviluppo Economico, Veltroni Presidente della Camera, a Bindi un ministero importante, magari gli Interni, o la Giustizia, visto che lei stessa si definisce “giurista”, o forse, chissà, quarto incomodo per il Quirinale: è bene essere forniti di alternative pronte. Una lista ineccepibile, tutti al loro posto.
Giustamente Ainis osserva che i big della politica italiana (quelli ovviamente della parte che presumibilmente vincerà: gli altri non possono che stare a guardare) con lodevole tempestività hanno già quasi ultimato il lavoro, così che all'indomani delle elezioni la “macchina da guerra” edizione 2013, questa volta forse meno "gioiosa" di quella del 1994, procederà, rapida e senza tentennamenti o defatiganti trattative, a subentrare al governo tecnico con un nuovo governo eletto.
Eletto ? Ma a che servono le elezioni, si chiede sarcastico Ainis, se il governo da eleggere è già completato e tutti sono d'accordo. Perché vogliono venirlo a chiedere a noi, come comporre la lista dei ministri ? La domanda di Ainis è evidentemente provocatoria oltre che retorica. Questa volta non si vede come si possa ripetere l'inattesa debacle del 1994, quando si avverò la beffa di un Berlusconi appena sceso in politica. Un eventuale successo di Grillo potrà semmai render felice Casini, il quale - divenendo in questo caso decisivo il sostegno dell'UDC ad una maggioranza PD-SEL - reclamerà per sé il Quirinale. E così - sotto sotto - Casini è forse il più convinto sostenitore di Grillo, oltre che della conferma di Monti  a Palazzo Chigi, per avere un concorrente in meno. No, non ci sono altri rischi, per il centrosinistra, questa volta, data anche l'ormai assodata impresentabilità della destra.
Quindi è normale e anche lodevole anticipare i tempi da parte dei dirigenti dello schieramento destinato a prevalere secondo quella logica dell'alternanza che dal 1994  ha sempre fatto vincere chi era all'opposizione - forse più per “merito” del governo precedente che per i propri.
Semmai, c'è da chiedersi che razza di alternanza sia questa, nella quale i posti vengono scambiati sempre tra le stesse persone. Che politica è mai questa, nella quale ogni capacità è esclusivamente rivolta all'accaparramento dei posti di comando e lì si esaurisce: non ne resta un briciolo per esercitare il comando se non allo scopo di perpetuare il potere conquistato. E' vero che per le cariche di responsabilità istituzionale, sempre più esposte alla ribalta internazionale, non si può ricorrere a dei pivelli, per quanto probi e capaci (ammesso poi che lo siano). Ma questa è gente che si rigira le stesse poltrone da un quarto di secolo e più. Tutto è cambiato negli ultimi trent'anni: sistema elettorale, sigle dei partiti, aggregazioni, alleanze e, sul, piano sostanziale, sono cambiati i problemi dei cittadini e gli approcci e gli strumenti disponibili per risolverli, sono mutati gli assetti internazionali e l'intero scenario mondiale. E' caduto persino il muro di Berlino, nel frattempo. La società italiana è radicalmente cambiata dagli anni ottanta a oggi. Ma la politica è sempre in mano agli stessi: negli anni '80 (regnante ancora Breznev!) e nei primi anni '90 in Italia erano già in auge D'Alema, Prodi, Veltroni, Bindi, Fini, Casini, ed i tre leader massimi di un tempo (il CAF: Craxi-Andreotti-Forlani) sono oggi fuori gioco solo per motivi per così dire oggettivi, perché altrimenti ... Oggi è fuori gioco persino Berlusconi, che si presentò come il “nuovo” nel 1994 e convinse molti elettori che era giunto il momento di sbarazzarsi del vecchio modo di fare politica, quello appunto dei D'Alema, dei Veltroni, che gli preesistevano... E da allora saranno passati 19 anni, nel 2013 imminente. Ora il vecchio satrapo viene rottamato, ma i “vecchi” che lui cercò di rottamare si vestono da giovani e – dopo essere stati in Parlamento per oltre un quarto di secolo, coi risultati che vediamo –  ci espongono le loro idee e proposte per risolvere i problemi del Paese. Perché, allora, non sentire in proposito anche Agostino Depretis e Urbano Rattazzi?
In un'intervista di pochi giorni fa D'Alema, per rispondere ad una domanda sul rinnovamento del partito, ha replicato, col suo superiore tono forbito, professorale ed oracolare, che il PD ha ora un segretario che appartiene "alla generazione successiva". Sono veloci, le generazioni per D'Alema: lui è del '49, mentre Bersani è del '51.
Quella del PD che con tanta protervia si aggrappa alle posizioni che detiene da anni è una classe dirigente che si è fatta battere da Berlusconi per ben tre volte: 1994, 2001 e 2008. Quando ha vinto (1996 e 2006) lo ha fatto per il rotto della cuffia e quindi sempre in modo effimero. Bravi e capaci, non c'è che dire. E vogliono continuare.
Ma il nostro destino pare ormai ineluttabile; per il momento non ci sono purtroppo ragionevoli soluzioni alternative e le uova nel paniere potrebbe romperle, ormai, solo la bomba Renzi, con scenari del tutto imprevedibili: nell'ipotesi, remota, che Renzi vincesse le primarie del PD, quali alleanze si presenterebbero alle elezioni e quali risultati si avrebbero ? Questa classe dirigente ha fatto sempre terra bruciata intorno a sé eliminando ogni possibile concorrente (gliene è sfuggito uno solo, ma è il più improbabile per il ruolo; e poi non è detto che di qui a qualche mese non riescano ad aver ragione anche di lui). Hanno fatto terra bruciata approfittando della nostra distrazione, mentre loro erano invece attentissimi. Hanno contato sul nostro tifo da stadio. Ci siamo appassionati di queste persone, delle cose che dicevano. Ci siamo accapigliati tra di noi per loro. Per il "pensiero" di D'Alema e di Rosy Bindi contro quello di Gasparri o di La Russa... Un "pensiero", l'uno e l'altro, lontano mille miglia dai problemi delle persone. Un "pensiero" che non dovrebbe esser tale da poter sconvolgere la coscienza di nessuno... Com'è stato possibile ? La colpa è nostra. Vogliamo continuare ? E se non  vogliamo continuare, che fare ? Non c'è più tempo per fare qualcosa di serio prima delle prossime elezioni. Ma per cominciare a pensarci per dopo, sì.

venerdì 7 settembre 2012

Pregiudizi e legittimità dell'opinione contraria

Nei vari dibattiti spesso risuonano i sani principi liberali che ammoniscono: “tieniti pure i tuoi ideali; io ho i miei e ho il diritto di vederli affermati; se non ti piacciono, nessuno ti obbliga a seguirli”, e “la mia libertà cessa (solo) dove inizia la tua”.
Principi benedetti, quando esauriscono i loro effetti sui soggetti che li reclamano. Vi sono però istanze nascenti dai convincimenti umani più profondi che, per la loro natura, connotano la società in un certo modo: in “quel certo modo”, quindi, la società finisce per esserlo per tutti, anche per coloro che vorrebbero abitarne una diversa.
Un esempio fra i tanti: la bioetica, in riguardo alla quale quei principi liberali, che rimangono validi, devono essere sviluppati in profondità. Se sono legittime le istanze di chi vuole manipolare la vita, lo sono altrettanto quelle di chi è atterrito da tale prospettiva. La società è la casa di tutti e tutti devono poterla sentire tale. La saggezza vorrebbe che ognuno riconoscesse e garantisse all’altro il diritto di vivere in una società anche per lui abitabile e che quindi – essendo la società in cui viviamo una sola e per tutti – accettasse una contaminazione tra i propri principi e quelli degli altri. Se tutti lo fanno, nessuno avrà il massimo, ma nessuno si sentirà in una casa che non è la sua. Altrimenti, le regole democratiche risolveranno la questione, e si rischierà di essere su una brutta china: l’integralismo – religioso o di altra natura – della maggioranza.
Ma non si opponga che una parte deve tacere “perché nessuno la obbliga a fare ciò che non condivide”. Va fuori tema chi ragiona così. Infatti anche quella parte ha il diritto di proporre, come l’altra, la società comune che tutti devono abitare. Nel dibattito delle idee sui grandi temi c’è un’arma che non è consentita: la negazione pregiudiziale di legittimità dell’opinione contraria, che tradisce la pigrizia mentale ed il timore del confronto nel merito.
(intervento dell'autore pubblicato su Italians - Corriere.it il 6 luglio 2012)

mercoledì 5 settembre 2012

Un dono inatteso


Tra le molte parole e frasi scritte  in questi giorni sul conto del Cardinale Carlo Maria Martini, ve ne sono alcune che fanno arrestare il nostro distratto cammino di tutti i giorni facendoci volgere lo sguardo a questo mite e discreto compagno di viaggio, che appariva, a chi non lo conosceva da vicino, come uomo schivo e timido, caratteristiche che  non sono tali da suscitare gli oceanici entusiasmi di figure più carismatiche. 
La citazione indiana, che Martini spesso richiamava, sulle età dell'uomo (si impara, si insegna, si riflette, si mendica) colpisce ed, inizialmente, stupisce.  Soprattutto l'ultima età. “Nella quarta, si mendica” sono le parole più inattese, ma anche le più vere. Nella vecchiaia, si mendica. Non necessariamente si mendicano i beni materiali. Quanti di noi hanno ogni ora sotto gli occhi persone care anziane, difficilmente avranno finora pensato a questa faccia della realtà, ma ora che la citazione amata dal Card. Martini giunge alle nostre orecchie, vediamo i nostri cari in modo diverso (ed anche questo è un dono). Sì, "nella quarta, si mendica": compagnia, aiuto, amore, pazienza. Che Dio ci aiuti a darne, quando siamo nelle prime tre età, e ad averne, alla fine.
Un altro motivo di riflessione che sorge avvicinandoci alla figura di Carlo Maria Martini, è il pensiero della morte. Da quel che si legge, egli non la temeva; temeva invece la transizione verso di essa. Il passaggio. E' stato detto: come Gesù nell'orto del Getsemani. Ma si può anche dire: come ogni uomo. Il tema della morte è un tema centrale per il cristiano. Al cristiano la morte non fa paura in sé: la teme, ma non per sé stesso, bensì per la mancanza che produrrà in chi gli vuole bene. E per lo stesso motivo teme quella delle persone alle quali è legato.
Quest'uomo col quale abbiamo avuto la fortuna – inconsapevoli molti di noi  – di fare un tratto di cammino insieme in questo mondo, forse era una di quelle rare persone che amano capire e che hanno imparato come fare: si ascolta, soprattutto ciò che ci appare lontano e diverso da noi, si ascolta soprattutto ciò che ci sembra di non poter condividere. Si ascolta in silenzio, con profonda attenzione, e ci si pensa senza il pregiudizio delle nostre convinzioni fino ad allora maturate. Nessuno ha convinzioni tutte giuste; nessuno ha convinzioni tutte sbagliate. Più si è allenati,  più si può regalare al prossimo, con poche, miti ma sapienti parole - senza clamori e senza grida - il distillato essenziale della nostra capacità di pensiero. Così in fondo si può credere che abbia saputo fare nella sua vita il Cardinale Carlo Maria Martini, nella nostra colpevole distrazione.