martedì 22 novembre 2011

"Il mercante di libri maledetti" di Marcello Simoni - Newton Compton Editori

La lettura di questo romanzo di Simoni è un esercizio – impegnativo, molto impegnativo - che deve essere consigliato a tutti. Infatti si tratta di un passaggio fondamentale per convincersi definitivamente di come questo filone di romanzi storico-esoterico-pseudoreligiosi deve esser rifuggito come la peste. Se non si legge “Il mercante dei libri maledetti” si può correre il rischio di cadere di nuovo in tentazione. E' lo stesso motivo per il quale conviene leggere “Il cimitero di Praga”: una volta completata l'impresa, possiamo esser certi che non cadremo più nella tentazione di prelevare da uno scaffale di una libreria un romanzo di Umberto Eco. Tornando a Simoni, che ci dicono ex archeologo, laureato in lettere e attualmente bibliotecario (ecco perché), si è in presenza di ottantotto capitoli per circa 350 pagine (peraltro al prezzo giustamente modico di Euro 9,90) che rendono incerto onore al tempo che il lettore, per seguire le avventure del protagonista, deve sottrarre ad altre occupazioni ed interessi non meno stimolanti ed attraenti di queste ultime (ad esempio, andare a fare la spesa, accompagnare la moglie dal parrucchiere, farsi uno shampoo, ecc.).
Qui si tratta di tale Ignazio da Toledo, mercante, che in una piovosa giornata del 1218 arriva ad una abbazia dell'Italia nordorientale in compagnia di un giovane aiutante e viene accolto dall'abate, che l'attendeva. Compaiono subito un cellario ed un inserviente, uno di quei servi (c'è  qualche altro esempio, nella letteratura) ai quali vengono affidate le faccende manuali e meno gradite di un monastero. Anche se può sorprendere, questo inserviente – Hulco – è un po' deforme e si esprime in un vernacolo incomprensibile. Il mercante Ignazio deve mettersi alla ricerca di un libro misterioso, l' Uter Ventorum, raccolta di sapienti principi orientali che mettono l'uomo in relazione con gli angeli. La ricerca si snoda per vari paesi, tra l'Italia, la Francia e la Spagna pirenaica (come richiede questo genere di storie, i Pirenei non possono mancare, come non manca la citazione del cammino di Santiago). Sono molte le peripezie che deve affrontare Ignazio, col suo fido aiutante al quale si è subito aggiunto il giovane monacello Uberto, peripezie legate al fatto che i tre sono inseguiti dagli adepti di una setta chiamata Saint-Vehme, anch'essa sulle orme dell'Uter Ventorum.
I brevi capitoli sono scritti in maniera chiara e lineare e la lettura è, fortunatamente, sciolta. Il linguaggio messo in bocca ai personaggi apre squarci imprevisti sul lessico dell'epoca: ad esempio, il giovane attendente dei cavalieri templari, che hanno appena salvato Ignazio e i suoi compagni dall'ennesimo attacco della Saint-Vehme, risponde ai ringraziamenti con un laconico “Dovere” che parrebbe più appropriato sulla bocca di un volontario dell'odierna Croce Rossa che non su quella di un cavaliere del Tempio di Gerusalemme, anche se le insegne sono simili. Nello stesso senso, non era forse molto in uso nel 1218 l'espressione “giungere proprio a fagiuolo” messa in bocca al domenicano Scipio Lazarus (pag. 143), riferimento peraltro storicamente non del tutto improbabile dato che, anche prima della scoperta dell'America (solo con la quale, come noto, si ebbe la diffusione in Europa dell'odierno gustoso legume) nel vecchio mondo era in uso (anche se non larghissimo) un altro tipo simile di leguminacea, alla quale nel seicento fu attribuita la denominazione botanica di “fagiolo Vigna”. Sì, il lettore si aspetta che prima o poi qualcuno, nel romanzo, profferisca un “OK”, ma ciò – possiamo rassicurare – non accade.
Terminata la lettura, continuando a girar pagina nella speranza che il romanzo non sia già finito (ed invece lo è), ci si imbatte nella quarta di copertina, già vista al momento dell'acquisto e che forse ha dato la spinta finale alla saggia decisione di non lasciarsi scappare le avventure di Ignazio da Toledo. Vi si legge infatti: “Enigmatico come Il nome della rosa”; “Avvincente come I pilastri della terra” ed il lettore, a quel punto, può essere indotto a cercare l'indirizzo di una delle tante associazioni di difesa dei consumatori alla quale proporre l'avvio di una “class action” risarcitoria.
Romanzo fondamentale ed imperdibile, Il mercante di libri maledetti, che occorre assolutamente leggere per i motivi indicati all'inizio.

mercoledì 16 novembre 2011

Dalle coesioni territoriali alle coesioni politiche

Sta finalmente vedendo la luce il nuovo Governo ed oggi se ne è conosciuta la composizione, che pare molto rassicurante. Peraltro, il nuovo ministero per la Coesione Territoriale, del quale, in tempi di tagli e sacrifici, non si sentiva urgente bisogno, pare nato al solo scopo di scavare un fossato tra la Lega ed il PDL in vista delle prossime elezioni. Un ministero così denominato è l'esatto opposto del preesistente Ministero per il Federalismo. Poichè quest'ultimo niente ha fatto, non c'era bisogno di un ministero che disfacesse. Fatto sta che il PDL che vota a favore di un Governo il quale si propone di rafforzare la Coesione Territoriale, è un partito che ripudia il federalismo auspicato dal partito di Bossi, e quindi addio alleanza anche a livello locale. A prescindere dall'indiscutibile valore intrinseco della coesione territoriale, fa venire però un po' di tristezza immaginare il Prof. Monti costretto, per la ragion di Stato, a dar retta a chi, per ragion di botteghe (probabilmente un tempo oscure), ha imposto questa trovata ed ora si starà fregando le mani orgoglioso della furberia degna delle scaramucce politiche del secolo scorso. Chissà a chi sarà venuta quest'idea. Io penso che sia uno, o una, coi baffi. Peraltro, si spera veramente che la politica italiana stia per prendere una strada nuova e diversa, una strada che le vecchie volpi stentano ad individuare; quindi esse possono scioccamente ancora gioire per i conigli che estraggono da cilindri sempre più logori e rattoppati. A questi politici del novecento sfugge che qualcosa si sta muovendo nella morta gora della politica italiana. Proprio a partire dall'attuale emergenza, può infatti accadere che l'ala più ragionevole e moderata del PDL lasci al loro destino i talebani berlusconiani e formi un proprio raggruppamento; che altrettanto faccia l'ala moderata e cattolica del PD; che questi due tronconi di fuoriusciti trovino un'alleanza con l'attuale terzo polo. A seconda dell'entità dei due smottamenti dal centrodestra e dal centrosinistra, potrebbe formarsi al centro un polo omogeneo, nucleo di ulteriore attrazione di consensi dei cittadini alla prossime elezioni, magari avendo come candidato premier Monti. Questa nuova alleanza potrebbe avere ambizioni maggioritarie, lasciando all'opposizione sul lato destro la Lega e gli ultimi berlusconiani puri e duri,  e, su quello sinistro, un PD (amputato dell'ala moderata) in compagnia del gatto e della volpe, vale a dire Vendola e Di Pietro. Perchè questo possa accadere è necessario che il Governo Monti ottenga i risultati sperati e che resti un po' di tempo a disposizione, prima delle elezioni, perchè le scomposizioni e ricomposizioni possano avvenire.
E' vero che anche noi cittadini siamo, ancora, tutti elettori del novecento, come i politici. Ma normalmente la classe politica dovrebbe essere più avanti dell'elettorato e dovrebbe guidarlo. Oggi in Italia non pare proprio essere così. Noi elettori nati nel XX secolo dobbiamo guardare al XXI e per far ciò dobbiamo cercare di liberarci di politici che, nella loro pigrizia mentale, sono ancora attaccati alle ideologie del XIX secolo.

giovedì 10 novembre 2011

I pericoli nella transizione

In questi ultimi tempi, può sorgere il sospetto che i “mercati internazionali” abbiano perso fiducia nel nostro Paese non tanto perché guardano al nostro debito pubblico, al suo rapporto col PIL, alla nostra mancata crescita, all'inettitudine di un governo che non ha mai avuto voglia di governare ed è stato lì solo per togliere il posto ad altri (che avrebbero fatto lo stesso, beninteso). No, il sospetto è che la crisi di fiducia nel nostro Paese derivi dal fatto che ogni mattina i “mercati internazionali”, da qualche tempo, per prima cosa, appena fatta colazione, corrano a leggere i vari blog italiani dove noi privati cittadini parliamo di politica.  Ed è lì – nei nostri interventi – che essi trovano motivo per fare pessimistiche previsioni sul nostro futuro. Ora, lasciando da parte l'evidente paradosso, le discussioni che si fanno in rete sono quasi sempre di mero “schieramento”: chi è stato più bravo e chi più cattivo, chi non vorremmo vedere più in televisione (i nostri nemici, ovviamente) e quali politici ci sono più simpatici (quelli della nostra parte, naturalmente: gli altri - solo gli altri -  sono notoriamente dei lestofanti), con chi si deve alleare e con chi non si deve alleare il tale partito per “vincere” (non certo per fare del bene al Paese) ecc. ecc. In un momento come questo, non stiamo discutendo sulle soluzioni da adottare per cercare di risollevarci: noi litighiamo su quale sia il modo migliore perché lo schieramento avverso a quello al quale apparteniamo, perda. Questa sembra essere la nostra unica preoccupazione. Siamo ancora preda delle nostre vecchie appartenenze ideali, delle quali ormai - e non vogliamo capirlo – come della rosa resta solo il nome (e nemmeno più l'Eco), ed una vaga, inconfessata nostalgia priva ormai di ogni speranza.
Oggi si apre uno spiraglio positivo con la notizia di un  probabile incarico a Mario Monti per un governo serio e autorevole nei suoi componenti. E' la strada del buon senso e l'unica che ci è rimasta. Tuttavia l’ottimismo per uno sviluppo di questo tipo viene purtroppo attenuato alla luce di quel che hanno fatto capire i “soliti noti starnazzanti” a Porta a Porta di ieri sera: destra e sinistra sanno che il nuovo governo dovrà assumere decisioni impopolari, e loro – più che al bene del Paese – pensano soprattutto al bene dei loro partiti alle prossime elezioni. C’è quindi da temere che sia gli uni sia gli altri, dopo aver accettato di buon grado un Governo Monti, sulle signole misure da adottare vorranno addossare all’avversario la responsabilità delle decisioni più pesanti, paralizzando l’azione risanatrice. Questo sarà il problema.

martedì 8 novembre 2011

Il Faust di Sokurov

Lo spettatore di normale cultura deve sapere in anticipo che, all'uscita della sala di proiezione, dovrà constatare di non averci capito molto di questo film che ha vinto il Leone d'oro all'ultima Mostra di Venezia. Tuttavia egli continuerà a ripensare a lungo alla sequenza delle immagini, interrogandosi sul loro significato. Quelle immagini, nella loro ammorbante tonalità che sfuma sul grigio-marrone-verdognolo, non le dimenticherà facilmente. Il Faust di Sukorov è, infatti, un film “indimenticabile”, come indimenticabile è l'atmosfera che si respira, gli odori che si avvertono. Si avvertono - l'atmosfera e gli odori - non in senso figurato: incredibilmente, pare di esserci in mezzo. Il fetore, la fatiscenza, il miserevole polverume scenico, il ciarpame putrescente nel quale avanzano i personaggi, facendosi strada a fatica tra oggetti impensati, fuori uso da secoli e disordinatamente accatastati, avvolgono lo spettatore fin dall'inizio e lo accompagnano per le due ore ed un quarto della proiezione.
Il collegamento con l'opera goethiana è praticamente inesistente, se si eccettua il nome del protagonista ed il suo scellerato patto sottoscritto col sangue. Il dottor Faust è un povero disperato, acculturato ma buono a nulla, alla ricerca di un senso da dare alla propria vita e soprattuto alla ricerca di un modo per vivere (di un modo materiale: alla ricerca, cioè, dei quattrini che non ha per tirare avanti) e sempre sensibile al fascino femminile che troverà – irresistibile - in Margareta, splendida bellezza slava dalla bocca come un bocciòlo di rosa, con la quale troverà la morte. Dopo la quale, ovviamente, l'avventura continua in compagnia del diavolo col quale ha fatto coppia fissa, in un rapporto nel quale è Mefistofele a dipendere da Faust: il diavolo, nel film di Sokurov, è per l'appunto un povero diavolo piagnucoloso, alla fine sommerso da una montagna di detriti e di pietre dal Dottor Faust che così lo rimuove e poi si allontana, in un crepuscolare scenario apocalittico, e bellissimo, verso un immenso ghiacciaio - anch'esso polveroso - che risale la montagna.
Il Faust di Goethe è un riferimento lontano: il film di Sokurov sembra essenzialmente una ben riuscita esibizione accademica di arte cinematografica, dove è da apprezzare soprattutto la forma, ridotta a mero pretesto strumentale la sostanza.  
Un film da vedere, sì, ma non necessariamente da capire. O meglio: un film da vedere una seconda volta, senza farsi cogliere di sorpresa come la prima.

Virtù civiche

Negli ultimi giorni abbiamo assistito ad interventi di privati cittadini che hanno proposto, mettendole in pratica per quanto li riguardava, varie iniziative allo scopo di aiutare il Paese in questo particolare momento. Qualcuno (vedi anche - sorprendentemente -  Severgnini su Italians di Corriere.it di oggi 8 novembre)  ha preso le distanze da questi pronunciamenti nel timore che il frutto di tale esercizio virtuoso, andando a rendere un beneficio al Paese, potrebbe costituire motivo per il governo attuale di accaparrarsi meriti che certo non ha.
Posizioni di questo genere lasciano perplessi. Si dovrebbe invece considerare che l’emergere di inattese virtù civiche debba dare speranza. Se i cittadini possono fare qualcosa in proprio per aiutare il proprio Paese (e certo non basterà), è encomiabile che lo facciano, anzi tutti dovremmo – nei rispettivi limiti – cercare di renderci utili: sottoscriviamo i titoli di Stato, paghiamo le tasse, non lavoriamo a nero e non diamo lavoro a nero.
Per quanto riguarda il “pagare le tasse”, sarebbe necessario un esame di coscienza. Non basta pagare tutta l’IRPEF dovuta sugli emolumenti di lavoratori dipendenti, e vantarsi di questo (anche perchè non possiamo farne a meno: viene detratta alla fonte). Si è evasori, spesso totali, e si consente l’evasione altrui, anche quando non si esige la fattura del dentista, dell’idraulico, del decoratore, del muratore. In questi casi, si evade 210 perchè la fattura, se emessa, sarebbe stata di 1.000: se fosse stata di 1 milione avremmo evaso 210.000; cioè – non appena anche per il comune cittadino è possibile – spesso si evade tutto l’evadibile sui piccoli conti, e poi si accusano (giustamente, certo)  “i grandi evasori” dimenticando che in proporzione si sta facendo altrettanto e che quindi con tutta probabilità lo si farebbe – al 100% – anche se i conti fossero ben più alti, come appunto quelli dei “grandi evasori”. 
Non è condivisibile l’opinione  che, pur di mandare a casa Berlusconi (che tanto ci andrà comunque, forse domani), si debba evitare di aiutare il Paese, quando se ne hanno le possibilità, e che si debbano guardare con sospetto i cittadini che decidono di essere virtuosi.

lunedì 7 novembre 2011

Genova per noi ...

Fra le tante immagini del disastro in Liguria e in Toscana, forse anche troppe, e molte trasmesse con l'intento di fare spettacolo, una in particolare colpisce e commuove. A Genova, una signora in lacrime di fronte al suo negozio distrutto. Ma non piange per il suo, di negozi: col dito indica davanti a sé “... quel bar là di fronte ... di quel ragazzo ... aveva rifatto il banco nuovo il mese scorso, e l'acqua glielo ha portato via”.

giovedì 3 novembre 2011