mercoledì 29 maggio 2013

Scuola pubblica e privata, tra storia e Costituzione

In queste ultime settimane ha fatto molto discutere il referendum bolognese che si proponeva di veder eliminato il sostegno del Comune alle famiglie che mandano i loro figli alle scuole paritarie, in modo che tutte le risorse disponibili siano destinate esclusivamente alla scuola pubblica.
I promotori del referendum - che è solo consultivo, e cioè non è tale da obbligare col suo risultato il comportamento del Comune -  hanno fondato la loro iniziativa sul dettato dell'art. 33 della Costituzione, il quale  al terzo comma dice: "Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato."
E' su questa chiara formulazione - "senza oneri per lo Stato" - che poggia quindi l'opinione per la quale la sfera pubblica non può intervenire a favore delle scuole paritarie, e se lo fa viola la Costituzione.

Può essere interessante vedere cosa si dissero i costituenti quando si trovarono a discutere, e poi a votare, l'attuale formulazione dell'art. 33 della Costituzione.  
La precisazione finale "... senza oneri per lo Stato" fu proposta nella seduta del 29 aprile del 1947 dagli onorevoli Corbino (Liberale), Marchesi (Comunista), Preti (Partito Socialista Lavoratori Italiani), Binni (Partito Socialista Lavoratori Italiani), Lozza (Comunista), Fabbri (Misto), Zagari (Partito Socialista Lavoratori Italiani), Pacciardi (Repubblicano), Rodinò (Fronte Liberale Democratico dell'Uomo Qualunque), Silipo (Comunista), Codignola (Autonomista), Bernini (Partito Socialista Italiano), Badini Confalonieri (Liberale), Cortese (Liberale), Perrone Capano (Liberale) . Si trattava di costituenti appartenenti, tutti, a partiti di ispirazione laica.
Per la Democrazia Cristiana si oppose a quell'aggiunta Giovanni Gronchi, futuro Presidente della Repubblica, il quale osservò che l'esclusione dell'intervento statale non avrebbe  riguardato solo le scuole "confessionali", ma anche qualunque altra istituzione scolastica non statale, impedendo allo Stato di ". .. di integrare l'opera che questi enti possano compiere a vantaggio della collettività nazionale. A noi pare che collocare un tale divieto in un testo costituzionale sia troppo restrittivo e controproducente ai fini stessi della educazione che noi abbiamo posto come uno dei primi compiti per lo Stato. Siamo perciò contrari e voteremo in conseguenza."
Il proponente Epicarmo Corbino, liberale, fece allora la seguente dichiarazione: "Vorrei chiarire brevemente il mio pensiero. Forse, da quello che avevo in animo di dire, il collega Gronchi avrebbe capito che le sue preoccupazioni sono infondate. Perché noi non diciamo che lo Stato non potrà mai intervenire a favore degli istituti privati; diciamo solo che nessun istituto privato potrà sorgere con il diritto di avere aiuti da parte dello Stato. È una cosa diversa: si tratta della facoltà di dare o di non dare". 
E subito dopo Codignola aggiunse: "Dichiaro che voteremo a favore, chiarendo ai colleghi democristiani che, con questa aggiunta, non è vero che si venga ad impedire qualsiasi aiuto dello Stato a scuole professionali: si stabilisce solo che non esiste un diritto costituzionale a chiedere tale aiuto. Questo è bene chiarirlo."
I componenti della DC non furono comunque convinti - anche perché le posizioni originarie di altri proponenti erano state più restrittive di quelle chiarite in ultimo solo da Corbino e Codignola -  e votarono contro. L'emendamento "senza oneri per lo Stato" fu approvato con 244 voti a favore, 204 contrari  (quasi tutti democratici cristiani) e 4 astenuti. 

Come vediamo, l'attitudine a darsela ad intendere per la Repubblica Italiana non è nata di recente ma è genetica: anche nel 1947 si ciurlava un po' nel manico, da un lato dando assicurazioni da parte di alcuni (Corbino, Codignola) nel rigoroso silenzio di altri, che stavano zitti ma avevano in precedenza parlato in modo tutt'altro che rassicurante, mentre dall'altro - votando contro l'emendamento,  e proprio per questo - se ne sposava l'interpretazione meno favorevole per le scuole paritarie. 

mercoledì 22 maggio 2013

Mezzi d'informazione e conformismo

E' una gabbia soffocante non solo il conformismo dei comportamenti umani ordinari, ma soprattutto quello che condiziona il nostro sguardo sulla società e sulla politica. E' difficile uscirne, perché i media sono ultrapotenti e sono loro a plagiare quel nostro sguardo. E' praticamente impossibile ascoltare un'opinione originale, tutte vanno a ricadere su "Berlusconi e i suoi processi", su "Berlusconi e il suo conflitto d'interessi", "Berlusconi e la nipote di Mubarak". Si può iniziare un discorso sui più svariati argomenti - filosofici, scientifici, letterari - ma alla fine si cade inevitabilmente lì. Qualche conduttrice televisiva se ne è resa conto, ma non potendone uscire (non riuscendo ad uscirne, ormai) va provocatoriamente all'attacco convinta di attuare così la miglior difesa: è il caso di Lilli Gruber ad "Otto e mezzo" di qualche giorno fa, quando ha esordito che, ebbene sì, anche quella sera si sarebbe parlato dei problemi giudiziari di Berlusconi, con un implicito, duro e anticipato ammonimento a chi stava per commentare: "No! ancora?". "Bèccati Berlusconi e stai zitto, che io non so ormai parlare d'altro" stava a significare quell'aggressivo (e forse interiormente disperato) esordio. Il conformismo politico: è colpa anche della nostra pochezza intellettuale e della nostra pigrizia; perché sforzarci di produrre idee nostre, se possiamo acquistare gratis quelle degli altri, già prodotte e confezionate? E non solo le idee, ma anche le frasi già fatte per esprimerle, come accade con le preghiere insegnateci al catechismo. Errore: non "gratis" le troviamo - idee e parole - ma pagando un prezzo altissimo, quello della rinuncia al nostro cervello. Pensiamoci. Certe trasmissioni televisive di penoso conformismo prosperano, e così alimentano sempre più quel conformismo, perché noi le guardiamo. Se smettessimo di guardare questi talk show - con spalti che applaudono o dileggiano sempre nelle stesse direzioni, come se stancamente rispettassero un obbligo contrattuale con deprimente prevedibilità - questi talk show che ormai ci ammorbano da decenni con gli stessi conduttori e le stesse idee, sebbene ogni anno o due cambino nome (così come ci ammorbano i nostri vetusti politici sebbene ogni cinque o sei anni cambino nome al partito che ci propongono) forse la forza dello share in picchiata costringerebbe le emittenti ad aprire le finestre, a buttar giù i conduttori che ci plagiano da ventanni e a proporci qualcosa di nuovo. Fra venti anni saremmo di nuovo allo stesso punto? Certo. Dovranno essere riaperte le finestre, è normale.

sabato 11 maggio 2013

L'appetito vien mangiando, ma poi alla fine tutti si saziano. Tranne uno.

Il "Fatto Quotidiano" di oggi riporta le seguente notizia relativa a Romano Prodi:

“Io non esisto. E’ un fatto che per questa Repubblica io non esisto”. Con questa frase, pronunciata con l’immancabile sorriso sulle labbra, Romano Prodi volta le spalle ai giornalisti, rifiutandosi di rispondere a qualsiasi domanda. Arrivato in mattinata all’Università di Parma per assistere alla cerimonia di consegna della laurea magistrale honoris causa in International Business and developement al cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiagail professore ha lasciato l’aula Magna dell’Ateneo subito dopo i saluti di rito, rimanendo in silenzio di fronte alle domande della stampa e limitandosi a stringere la mano ai presenti.

Come si sa, qualche settimana fa Prodi era rientrato precipitosamente dal Mali, dove stava svolgendo un incarico affidatogli dall'ONU, perché gli era stato annunciato che il PD quello stesso giorno lo avrebbe votato nello scrutinio per l'elezione del Presidente della Repubblica. "Sto partendo, arrivo il prima possibile" aveva assicurato il professore. Poi sappiamo come è andata a finire: non solo il suo nome non ha aggregato il consenso - necessario per l'elezione - di altri elettori oltre a quelli del PD e di SEL, ma addirittura gli è mancato il voto anche di 101 di questi ultimi. Anzi, di voti PD-SEL gliene deve essere mancato qualcuno in  più; infatti nel conto finale di 395 voti, come ha riferito Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera qualche giorno fa, hanno inciso in positivo alcuni voti di altri gruppi: almeno quattro elettori di Scelta Civica anziché votare scheda bianca avrebbero votato per Prodi; e poi, come escludere che altrettanto abbia fatto, nel segreto dell'urna, anche qualche deputato o senatore grillino, visto che l'ex presidente del consiglio figurava nella lista dei candidati graditi al M5S ?

E' comprensibile la delusione per il mancato approdo al Quirinale e l'amarezza per il comportamento un po' torbido, poiché tramato in segreto, di un così folto gruppo di appartenenti allo schieramento che aveva deciso di sostenerlo. Sorte, quella cinicamente decisa dai cosiddetti franchi tiratori, che in passato è toccata ad altri illustri politici italiani: Sforza nel 1948, Merzagora nel 1955, Leone nel 1964, Fanfani nel 1971, Forlani nel 1992, D'Alema nel 2006. Fare il Presidente della Repubblica è un lavoro che piacerebbe a molti, in effetti, ed arrivarci ad un passo - dopo essere partiti addirittura dal Mali - per poi restare a bocca asciutta deve bruciare abbastanza.

Questa comprensibile delusione ha spinto Romano Prodi a farsi sfuggire l'amaro rammarico: "Per questa Repubblica io non esisto". 

Si tratta però di una dichiarazione che suscita sconcerto.

Il Prof. Prodi lamenta di non esistere per la Repubblica Italiana. Ma è forse un suo omonimo quel Romano Prodi che è stato ministro dell'Industria 35 anni fa in uno dei tanti governi Andreotti, per poi diventare presidente dell'IRI per otto anni su designazione di De Mita, e poi ancora presidente della Commissione europea per cinque anni su indicazione della Repubblica Italiana, e presidente del consiglio dei ministri per due volte per un totale di quasi quattro anni negli ultimi diciannove? Uno così, uno che negli ultimi 40 anni non è stato un attimo senza avere qualche poltrona prestigiosa su cui sedere - una dopo l'altra, in un tourbillon che avrebbe sfiancato chiunque, se ci si può sfiancare stando seduti in poltrona -  "non esiste per la Repubblica Italiana"? Ritiene che i suoi meriti siano stati disconosciuti, poveretto? La Repubblica Italiana non gli è stata sufficientemente riconoscente? Non gli basta quel che ha avuto, voleva ancora dell'altro? Chi crede di essere: Alessandro Magno, Pericle, Napoleone, Mandrake? Ed esiste invece, per la Repubblica Italiana, chi non  ha un lavoro, non una casa, e non riesce ad essere curato se ammalato? Cosa dovrebbero pensare, queste persone meno fortunate di lui, di questa insensata e scandalosa dichiarazione?