martedì 25 febbraio 2014

L'oblio di Eugenio Corti

E' passata quasi sotto silenzio la scomparsa di Eugenio Corti (1921-2014), avvenuta a Besana Brianza il 4 febbraio scorso.  “Eugenio Corti chi?”. La domanda sorgerà  spontanea in molti a sentire il nome di questo scrittore brianzolo. La sua opera principale, monumentale, è “Il cavallo rosso”: un'opera di grande respiro, ponderosa, scritta forse con uno stile letterario non eccelso ma capace di raggiungere l'obbiettivo al quale dovrebbe tendere ogni opera letteraria, quello di avvincere il lettore e toccarne indelebilmente l'anima. Sullo sfondo della Brianza laboriosa e solidale nella quale sono radicati i personaggi, fortemente avvinta ai suoi valori, il romanzo, con un sottofondo autobiografico, passa dall'agghiacciante cronaca della rovinosa ritirata dal fronte russo nell'ultima guerra alla lotta partigiana, ai primi anni dell'Università Cattolica a Milano con la figura di Padre Agostino Gemelli, alla liberazione e al dopoguerra con la ripresa della libera competizione tra opinioni diverse, alle molte delusioni che ne seguirono dopo i primi anni eroici della salvezza democratica e della ricostruzione. 
Certo, Corti non è stato – come oggi si direbbe – bipartisan. No, per lui il bene stava da una parte ed il male dall'altra e in tanti passi de “Il cavallo rosso” ciò emerge, ma non disturba il lettore sereno: suscita anzi un senso di vicinanza e induce ad uno sforzo di comprensione. Questo dividere il mondo in due è forse il limite maggiore di Corti ed è stato pagato duramente col più rigoroso isolamento nel panorama letterario italiano. Lui, però, il bene ed il male l'aveva visto coi suoi occhi alle massime espressioni ed un po' di credito gli va dato, soprattutto da parte nostra che queste categorie le conosciamo per sentito dire e le trattiamo con un po' di supponenza. In questa epoca nella quale ogni giorno ci vengono pomposamente presentate come capolavori opere letterarie con le gambe corte e la sintassi sbilenca (e sotto sotto si scopre sempre la manina della politica), l'oblio nel quale è stato relegato Eugenio Corti, grazie a quella stessa manina,  pare esemplare di ciò che non dovremmo essere ed invece siamo.   

martedì 18 febbraio 2014

Scherzi e cose serie, molto serie.

Lo scherzo giocato oggi da "La Zanzara" all'ex ministro Barca non è una burla, ma un fatto molto grave.
Fabrizio Barca, esponente della sinistra del PD e già ministro nel governo Monti, è stato raggiunto per telefono da un interlocutore che, fingendosi Vendola ed imitandone la voce, ha avviato un discorso sull'attuale momento politico. Qui Barca, ignaro che si trattasse di uno scherzo,  ha iniziato uno sfogo che ha riguardato il suo dissenso sull'operazione Renzi, giungendo poi a lamentarsi delle pressioni che avrebbe ricevuto per entrare nel governo: ha infatti sostenuto che la staffetta Letta-Renzi è stata sponsorizzata da De Benedetti, proprietario del gruppo editoriale La Repubblica, e che per la formazione del governo lo stesso De Benedetti avrebbe fatto pressioni continue ed insistite - non si è capito se direttamente o tramite giornalisti dipendenti del suo gruppo editoriale -  perché lo stesso Barca accettasse di far parte del governo.
De Benedetti ha subito smentito; una giornalista, citata da Barca, ha precisato di aver sì preso contatti con Barca, però  non su mandato del suo datore di lavoro, ma in quanto giornalista e quindi semplicemente per avere informazioni. La precisazione della giornalista può avere il suo fondamento - e poi si vedrà, se Barca deciderà di essere più preciso - mentre il riferimento a De Benedetti è molto più attendibile proprio per le modalità con le quali la rivelazione è stata carpita all'ignaro ex ministro. 
Partendo da questa oggettiva attendibilità si delinea una situazione molto grave. 
Un cittadino svizzero, quale è De Benedetti, che ha importanti attività imprenditoriali in Italia, anche nel campo dell'informazione ma non solo, sarebbe l'ispiratore, o comunque il cooperatore, di una operazione politica che ha portato alla caduta di un governo della Repubblica Italiana  e si starebbe occupando della scelta dei ministri del nuovo governo. 
E' un fatto unico nel panorama delle democrazie occidentali: un privato cittadino straniero influisce dall'estero sugli equilibri governativi di un Paese nel quale egli è titolare di rilevanti interessi economici. 
Si immagina che nei prossimi giorni la magistratura valuterà la sussistenza di ipotesi di reato in tali interferenze negli aspetti istituzionali della Repubblica Italiana e che agirà di conseguenza.
Sul piano politico, si conferma una convinzione: i conflitti di interesse politica-informazione- imprenditoria devono essere inflessibilmente combattuti, soprattutto quelli occulti, i quali proprio per questo sono più pericolosi per la democrazia di quelli palesi.

venerdì 14 febbraio 2014

Arriva Renzi.

(I)  In pochi giorni ciò che veniva escluso ("Chi me lo fa fare?"; "Enrico, stai sereno") si è puntualmente verificato: Matteo Renzi fa uscire di scena Enrico Letta e si prepara a prenderne il posto.
Il governo Letta non aveva certo brillato: pochi risultati raggiunti (forse nessuno se si guarda a quelli più significativi: ripresa dell'occupazione, nuova legge elettorale), molti incidenti di percorso (la ministra Iosefa Idem e l'evasione ICI, Alfano e il caso kazako, Cancellieri e l'affare Ligresti, De Girolamo  e il bar dello zio). Probabilmente occorreva un piglio diverso per non farsi avviluppare nelle spire di una maggioranza necessitata e per non farsi paralizzare dai contrapposti interessi di bottega dei soci azionisti del governo. Però, in tutte queste difficoltà il contributo maggiore è stato proprio quello del PD, che nel governo Letta era largamente prevalente con propri ministri ed i cui impegni per le primarie - sostanzialmente un congresso - hanno frenato negli ultimi sei mesi ogni velleità riformatrice che il governo potesse avere avuto, ammesso che questa velleità ci fosse stata (ed ora non possiamo più saperlo).
Le elezioni europee sono alle porte ed un eventuale risultato deludente per il PD potrebbe mettere in grave difficoltà il neo segretario Renzi,  che avrebbe un cattivo esordio. Continuare a galleggiare con un governo deludente guidato dal proprio partito sarebbe stato rischioso per Renzi, il quale quindi ha scelto di prendere il toro per le corna e scender in campo personalmente: se va ugualmente male, almeno non avrà rimpianti.  E' probabile che cerchi di dare una riverniciata alla compagine dei ministri e alla maggioranza per attenuare le critiche a sinistra per la collaborazione con i "diversamente berlusconiani", ma avrà qualche difficoltà perché la ripartizione dei seggi parlamentari è quella che è: illegittimamente esorbitante per il PD che continua a beneficiare del premio di maggioranza dichiarato incostituzionale ma pur tuttavia ancora insufficiente - il che è tutto dire - per poter prescindere dai "diversamente berlusconiani". Il PD alle ultime elezioni di un anno fa ottenne alla Camera il 25,4% dei voti e grazie al premio di maggioranza ebbe ben 292 seggi su 630 laddove proporzionalmente gliene sarebbero spettati circa 160 (132 in regalo!) e, al Senato, col 27,4% dei voti ha avuto 105 seggi su 315: venti in più. Se ora il PD non può prescindere dall'accordo con parti del centrodestra la colpa è soprattutto di sé stesso, che non seppe vincere una partita già vinta neppure col pacco-regalo,  oggi qualificabile come illecito alla luce della sentenza della Corte costituzionale 
Tuttavia in vista delle elezioni europee di maggio le preoccupazioni per Renzi non possono ritenersi fugate con la semplice liquidazione della zavorra del governo Letta. Infatti si profila all'orizzonte delle elezioni per  il Parlamento europeo la versione italiana della lista "Tsipras" dell'omonimo esponente di sinistra greco, per la quale alcuni settori della sinistra italiana si stanno entusiasticamente mobilitando anche per sfogare un po' di frustrazione antirenziana. Alle elezioni europee il voto è di solito più libero: si va in ordine sciolto e non intruppati nelle divisioni contrapposte "Berlusconi" e "Antiberlusconi" nelle quali si milita talvolta turandosi il naso al solo scopo di non far vincere l'avversario, ma senza un reale senso di appartenenza alla bandiera sotto la quale si combatte.  Alle elezioni europee si libera il naso, si annusa, e si sceglie su quale fiore posarsi  facendoci guidare solo dal profumo che più ci piace. Le elezioni europee non hanno - purtroppo - un rilevante effetto pratico per gli elettori, sono viste come un sondaggio, come una fiera delle libere opinioni. Non è quindi da escludere che l'ala sinistra del PD colga l'occasione per dare una testimonianza della propria appartenenza ideale sapendo di non correre il rischio, facendo mancare il proprio voto al PD, di riportare al governo Berlusconi o chi per lui.
Renzi ha  necessità di un governo che allontani le elezioni anticipate ed infatti parla di un accordo per arrivare al 2018, cioè al termine naturale della legislatura iniziata l'anno scorso. Infatti egli corre seri rischi in caso di elezioni a breve. Se venissero indette prima della riforma della legge elettorale, si dovrebbe seguire il metodo proporzionale che residua dopo la sentenza della Corte costituzionale, e quindi non vincerebbe nessuno: saremmo nella situazione di oggi con la non irrilevante differenza, per il PD, di non avere più il pacco-regalo del premio di maggioranza: se ottiene il 30% dei voti alla Camera avrà 190 deputati e non 292 quanti ne ha oggi col 25% dell'anno scorso. Più di cento degli attuali deputati PD resterebbero fuori ed i rapporti di forza sarebbero meno squilibrati di oggi. Pessima soluzione per Renzi: vade retro elezioni anticipate col proporzionale. Il cane che ha l'osso in bocca non lo molla.
Se invece si tenessero le elezioni anticipate dopo l'approvazione della nuova legge elettorale secondo l'accordo "Renzi-Berlusconi" al momento c'è la concreta possibilità che vinca al primo turno il centrodestra. Per questo Renzi preferisce elezioni con la nuova legge elettorale, ma da tenersi non troppo presto. Ecco perché parla oggi di "governo di legislatura" fino al 2018 (quando Berlusconi avrà ottanta anni). Ma forse gli basterà anche il 2017 o il 2016 se la sorte arriderà al suo governo. Prima, sarebbe in ogni caso un rischio. 

(II)  Oggi il Presidente della Repubblica ha accettato le dimissioni di Letta e ha dato subito  avvio alle consultazioni per la formazione del nuovo governo. 
Il Parlamento viene quindi escluso da questo passaggio: non ci sarà una discussione  parlamentare sul cambio di governo ma solo la discussione sulla fiducia a quello nuovo - il vecchio già irrimediabilmente seppellito all'insaputa del Parlamento.   
Non è la prima volta che ciò accade, ma la circostanza è fortemente discutibile. L'Italia è una Repubblica parlamentare ed il Parlamento è il cuore della nostra democrazia. Il Parlamento conosce un governo Letta al quale, l'ultima volta che è stato chiamato ad esprimersi, ha confermato la propria fiducia che, costituzionalmente, legittima l'esecutivo.  Fra qualche giorno lo stesso Parlamento verrà convocato ed ascolterà un certo Dottor Matteo Renzi - già in carica come capo del governo poiché a quel momento egli avrà già giurato nelle mani del Capo dello Stato - che gli chiederà la fiducia spiegando come intende governare fino al 2018. I parlamentari dovrebbero alzarsi in piedi e chiedere ad alta voce: "Renzi, chi? Non è Letta il Presidente del Consiglio al quale abbiamo dato la nostra fiducia ed al quale non l'abbiamo mai revocata?". Ma non lo faranno.
L'inopportunità costituzionale del mancato passaggio in Parlamento in questo caso è ancor più marcata. Letta non si è dimesso per una motivazione personale o extra-parlamentare, ma per la più parlamentare delle ragioni: il venir meno del sostegno di una parte decisiva della sua maggioranza parlamentare. Ieri la direzione del PD ha tolto la fiducia al governo Letta: questo è il senso di ciò che è accaduto. In una sede di partito - sede privata - si può ben decidere cosa dovranno fare - peraltro senza vincolo di mandato: art. 67 Cost. - i deputati e i senatori del partito stesso. Ma poi quella cosa deve essere fatta e compiuta là dove è previsto che si faccia e che si compia. La fiducia al Governo si dà e si toglie in Parlamento. La fiducia non è mancata su un singolo provvedimento - nel qual caso la motivazione starebbe nel dissenso su quel provvedimento e sarebbe emersa dal relativo dibattito - ma per una valutazione complessiva dell'opera del governo e del suo premier. Di ciò la Repubblica non può limitarsi a sentirne parlare in TV da un incontro privato indetto in un salotto di casa o nella sala giochi di un circolo ricreativo. La Repubblica, della valutazione complessiva del suo governo ne parla in Parlamento, il quale si chiama così proprio perché è lì che si parla della res publica e quindi anche del suo governo.
I cittadini, cui appartiene la sovranità (art. 1 Cost.), prenderanno  amaramente atto che la democrazia si è talmente evoluta che la "res publica" viene ormai trattata e decisa nella dimora privata di un'associazione, denominata PD, che rappresenta tra il 25 ed il 30% dei cittadini elettori. E gli altri? E le istituzioni, che rappresentano tutti? 

(III) A ben vedere, però, tutte le nostre analisi sul defenestramento di Letta faranno probabilmente scompisciare dalle risate chi sa come sono andate veramente le cose. Le nostre acute analisi portano probabilmente a soluzioni sensate sul piano teorico, ma completamente fuori bersaglio. Visti dall'esterno appariamo sicuramente ridicoli mentre combattiamo tra di noi con furibonda indignazione con le armi dialettiche forniteci regolarmente ogni mattina dai contrapposti "mattinali" ("Complotto!"; "La nipote di Mubarak!" - questa povera donna egiziana, quella vera, è da tempo in cura per fastidiosi e continui acufeni ed i medici non potranno mai scoprirne il motivo, non essendo clinico e risiedendo esso all'estero). Siamo ormai incapaci, infatti, di elaborare in proprio armi più efficaci ed intelligenti anche a causa del mancato esercizio.
Certi di questa nostra impossibilità di sapere come vanno veramente le cose che ci riguardano, potremmo però provare a domandarci se è un caso che questo passaggio avvenga in concomitanza con le rivelazioni di uno strano giornalista americano - che mettono casualmente in difficoltà l'anziano e da poco rieletto Presidente della Repubblica - e con la ricomparsa in pubblico, praticamente quotidiana, del prof. Romano Prodi, che proprio le suddette rivelazioni ci ricordano essere in relazione stretta e solidale con Monti, Bazoli e De Benedetti e quindi, attraverso di loro,  con la grande finanza internazionale, la quale probabilmente - pensando amorevolmente a noi - ha deciso di cambiare nuovamente i cavalli per l'Italia.

martedì 4 febbraio 2014

Applicazioni minime del principio di reciprocità

Chi riesca ad assistere all'attuale dibattito politico - oh, che parola grossa - con un po' di disincanto “bipartisan” può riuscire anche a trovarvi aspetti istruttivi e non solo ad indignarsi.
Un paio di episodi hanno visto come protagonisti assai discutibili i rappresentati del Movimento 5 Stelle.
Il primo è quello dello sciagurato epiteto rivolto da uno di loro ad un gruppo di deputate del PD.
“Insulto sessista” è stata la sdegnate reazione delle malcapitate e dell'area politica della quale sono espressione.
Curiosamente, si è trattato dello stesso termine letterale usato qualche anno fa nei confronti di una deputata della parte opposta, avvenente ex show girl: a quell'insulto sessista, alcune di quelle deputate, che oggi hanno motivo di sentirsi gravemente offese e di protestare vibratamente contro l'autore dell'osceno apprezzamento chiedendone la giusta punizione anche in sede penale, non reagirono manifestando solidarietà alla donna-collega: reagirono sghignazzando. Su quell'insulto sessista ci hanno poi vissuto e guadagnato per anni diversi nostri comici televisivi. Oggi per fortuna la reazione pare diversa ed è una reazione di condanna. Nessun comico si è finora azzardato a fare dell'ironia. Speriamo che sia il segno di un mutamento di atteggiamento e non la conferma di quella discriminazione, al limite del razzismo, che il “pensiero unico dominante” è abituato a praticare sotto il nostro cielo, per la quale si può offendere l'avversario e riderne, ma se offendono noi allora è un insulto inammissibile che deve esser condannato con sdegno.
Un altro episodio interessante è quello della querelle insorta tra una conduttrice televisiva ed un esponente del M5S, al quale l'ineffabile signora ha chiesto amabilmente conto del padre “fascista”. In risposta, si è sentita chiedere come si sentisse ad essere la moglie del figlio di un assassino, dato che per l'appunto il suocero della stessa, già esponente di un gruppo armato estremista, ha da poco finito di scontare una lunga pena detentiva per l'assassinio del commissario Calabresi. Un condannato con sentenza passata in giudicato ed anche scontata. Un “pregiudicato” a tutti gli effetti.
I due episodi poco edificanti che hanno visto in azione i rappresentanti del M5S segnano la conferma del livello infimo del dibattito, che dovrebbe essere “politico” se nel nostro Paese fosse sopravvissuta qualche traccia della politica.

Tuttavia possiamo scorgervi anche una valenza positiva: quella di aver fatto sentire ad alcuni sulla propria carne quale sia l'effetto bruciante degli insulti e delle offese, quelle stesse che con superficiale irrisione si è abituati a rivolgere agli altri pensando di esserne al riparo per grazia ricevuta.