giovedì 25 aprile 2013

Le due armi di Napolitano

Dopo l'incarico a Enrico Letta, solo una cosa è sicura: Bersani non ha più il suo pre-incarico, al quale non ha mai rinunciato e che Napolitano non gli ha mai revocato formalmente; una stranezza che nessuno ci spiegherà mai.
Per il resto la situazione resta oltremodo incerta dati i malumori di una parte del PD e la voglia di stravincere del PDL.
Ma per il tentativo di Letta questi due rischi non hanno la stessa intensità.
L'Italia che attende un governo che la tolga dal disastro non deve tanto temere i mal di pancia del PD, perché questo partito è ormai un arcipelago sbattuto dalla tempesta dove ogni isola fa repubblica a sé e combatte tutte le altre. Le isole che appoggeranno Letta non saranno tutte, ma basteranno. 
I rischi vengono dal centrodestra, che è alluzzato dall'idea di cogliere il momento favorevole e sbaragliare definitivamente un nemico in disarmo. In un modo o nell'altro: o insistendo per imporre gran parte del proprio programma e di propri ministri "storici" o - se non  va - attendendo con l'acquolina in bocca nuove elezioni anticipate. Infatti gli ultimissimi sondaggi danno il centrodestra al 35%, il centrosinistra al 26,4% e il M5S al 30% (EMG per La7 pubblicato il 24.4.2013; rilevazioni del 18-19 aprile: prima del tonfo su Prodi... chissà dopo...). Senza un accordo di coalizione tra  M5S, PD e SEL l'attuale legge elettorale, con queste percentuali, darebbe una sicura maggioranza al centrodestra sia alla Camera sia - probabilmente - anche al Senato.  
La probabilità maggiore è quindi che il tentativo di Letta naufraghi per colpa del PDL più che del PD. 
Il Presidente della Repubblica potrebbe avere due armi da giocare per ridurre a più miti consigli - separatamente - gli uni e gli altri. 
Al PDL il Presidente potrebbe minacciare, in caso di mancato accordo, non lo scioglimento delle Camere, ma le proprie dimissioni, evento che imporrebbe una nuova elezione presidenziale nella quale, con l'attuale Parlamento, che rimarrebbe immutato, prevarrebbe facilmente Prodi o Rodotà  dato che, a quel punto, il naufragio di ogni ipotesi di "larghe intese" nella vicenda governativa si rifletterebbe anche anche nella nuova elezione presidenziale.  Una bella minaccia per il centrodestra. 
Al centrosinistra Napolitano potrebbe più semplicemente minacciare nuove elezioni, che sarebbero tombali per un PD senza guida e senza immagine: in una parola, un PD che non è un partito. 
Ma Napolitano deve essere abile nell'usare queste armi, perché altrimenti ciascuna parte cercherà di fargli sparare quella che colpisce l'avversario. Deve bluffare con gli uni e con gli altri.  
E se le usasse entrambe ("Sciolgo le camere ed il giorno dopo, a camere sciolte, mi dimetto")?  Questa soluzione andrebbe bene a Berlusconi perché le Camere sciolte non possono eleggere il Presidente: subentrerebbe il Presidente del Senato e il nuovo Presidente della Repubblica sarebbe eletto dal nuovo Parlamento (Cost. art. 85, 3^ comma e art. 86, 2^ comma) che sarebbe probabilmente a maggioranza di centrodestra. Ci potrebbe quindi toccare, prima della fine dell'anno, un  Berlusconi Presidente della Repubblica.
Sarà quindi bene che il PD non offra pretesti per il naufragio di Letta.  

sabato 13 aprile 2013

I dubbi sulla legge elettorale


Nella sua relazione annuale, il Presidente della Corte Costituzionale ha espresso il dubbio che l'attuale legge elettorale, in vigore fin dalle elezioni del 2006,  possa presentare aspetti di incostituzionalità, ponendo l'accento soprattutto sul premio di maggioranza che essa concede alla coalizione che ottenga più voti, senza alcuna soglia minima di consenso. In effetti, se oggi una coalizione "arrivasse prima" col il 10%  solo perché gli altri competitori fossero estremamente frammentati, ed il secondo arrivato avesse  il 9,9%, quella coalizione, col suo 10%, avrebbe 345 seggi su 630 alla Camera (come se avesse avuto il 55%) ed una buona maggioranza relativa al Senato. Così è successo alle ultime elezioni alla coalizione di centrosinistra che si è affermata col 29,6% contro il 29,2% del secondo arrivato.
A ben vedere, che la legge elettorale attuale sia anticostituzionale, più che un sospetto è una certezza. Infatti se un correttivo premiante per chi si afferma alle elezioni può essere ammissibile in relazione all'esigenza di assicurare al paese una governabilità sufficientemente stabile, non ci si può però spingere oltre i limiti della ragionevolezza nell'alterare il principio democratico della rappresentatività, come accade con la legge attuale che consegna il potere - tutto il potere, comprese tutte le cariche istituzionali - a forze politiche largamente minoritarie rispetto totale degli elettori. Nelle due precedenti elezioni, questo effetto era risultato meno evidente, perché sia Prodi nel 2006 sia Berlusconi nel 2008 beneficiarono del premio andando comunque vicinissimi - l'uno e l'altro - al 50% dei voti. Il caso attuale di Bersani e del centrosinistra fa invece accendere la spia, dato che egli beneficia dello stesso risultato (un po' attenuato al Senato, ma straripante alla Camera con una larga maggioranza assoluta) con meno del 30% dei voti degli elettori.  
Un premio di maggioranza così ampio e concesso al primo arrivato indipendentemente dal livello di consenso,  fa ricordare con nostalgia la legge-truffa del 1953 contro la quale il PCI riempì le piazze: essa dava un piccolo premio in seggi alla coalizione che avesse ottenuto più del 50% dei voti (e che avesse, cioè, già vinto da sola grazie ai voti degli elettori).
Il  vulnus democratico di questa legge si sostanzia oggi, paradigmaticamente, con l'elezione del Presidente della Repubblica - che rappresenta l'unità nazionale ai sensi della Costituzione - nella quale alla coalizione "prima arrivata" alle recenti elezioni, col 29,6%, mancano solo pochi voti, facilmente reperibili in qualche modo, per eleggersi - se vuole - un proprio Presidente a partire dal terzo scrutinio, così come ha già fatto per le Presidenze della Camera e del Senato. E questo Presidente, frutto di un Parlamento che tra l'altro avrà presumibilmente breve vita (forse l'unico atto significativo sarà proprio quello di eleggerlo...) resterà in carica per i prossimi sette anni, nonostante l'esito delle future consultazioni elettorali. Uno scippo?

giovedì 11 aprile 2013

I falli di frustrazione ed i cartellini rossi


A differenza della destra aggressiva e becera, la sinistra finora si era contraddistinta per un certo stile, anche se talora con la puzza sotto il naso. Negli ultimi mesi si nota una sorprendente involuzione. Senza andare troppo indietro, si ricorda un Neri Marcoré a Ballarò lanciatosi in battutacce grevi e da osteria a carico di Carfagna, con la quale solo a malincuore, e dopo un po' di resistenza, si scusa Floris dopo le proteste dell'ex ministro presente in studio. E' poi il caso di Battiato con le sue “troie in Parlamento”. Qualche giorno prima abbiamo avuto a “Otto e Mezzo” un giornalista del “Fatto Quotidiano” che interrompe la deputata del PDL - la quale stava citando i sondaggi a suo dire favorevoli al centrodestra - per irridere ai suoi “sogni erotici”, nel silenzio sorprendente di Lilli Gruber, solitamente attenta a ribattere duramente ad ogni atteggiamento sessista. Ancor più sorprendente è la recentissima dichiarazione di una persona come Gino Strada che tiene a precisare il suo giudizio estetico negativo sull'aspetto fisico di Brunetta. E che dire poi del Prof. Prodi, che nelle ore successive al decesso di una statista come Margareth Thatcher, per “commemorla” non trova di meglio da dire che la defunta “è la madre della crisi economica mondiale”. Quando anche fosse così, non c'era bisogno di dirlo scegliendo proprio i giorni intercorrenti tra il decesso ed i funerali. Se muore qualcuno che non si apprezza, lo stile vorrebbe che si tacesse, almeno in quei momenti.
Cosa succede, quindi? Nel calcio si parlerebbe di “falli da frustrazione”. Caso esemplare il fallo feroce al termine di Inter Atalanta 3-4 di uno dei giocatori più seri e corretti del mondo come l'interista Cambiasso.
Ma occorre stare attenti, perché alla fine ci potrebbe essere un cartellino rosso, almeno da parte dell' “arbitro” che rappresenta gli elettori d'opinione, quelli non fideisti, che sono poi quelli che alle elezioni determinano le vittorie e le sconfitte.  

sabato 6 aprile 2013

Forse il sole c'è ancora

Sembra incredibile, ma da ieri circola una notizia buona. Sembrava che non ce ne fosse più spazio, ed invece forse c'è. La Richard Ginori di Sesto Fiorentino interessa a Gucci. Il gruppo del lusso potrebbe salvare la storica manifattura, e di conseguenza potrebbe salvare le famiglie di chi ci lavora.
Chissà come andrà a finire. Ma se dovesse andare a finire bene sarebbe un buon segno: per la Richard Ginori, per le famiglie dei lavoratori, e  per tutti. Vorrebbe dire che dopo tanto nero, dopo tanti reiterati rovesci in ogni campo,  la tendenza si inverte,  la ruota ricomincia a girare per il verso giusto, o per lo meno  non ha perduto definitivamente l'attitudine a farlo. Un raggio di sole dopo tanta pioggia.

venerdì 5 aprile 2013

Il volo del passero


Sul Corriere della Sera di oggi  vi è un articolo di Maria Teresa Meli sulle voci - finora molto flebili - di una scissione del PD,  con l'ala sinistra e la componente bersaniana le quali - se non andasse in porto il progetto di "governo di cambiamento" con Grillo e prendesse piede Renzi -  potrebbero decidere di andarsene per unirsi a Vendola, Ingroia e Diliberto. In proposito l'articolo ricorda una vecchia citazione di Bertinotti  sulla "diversità" che esisteva all'epoca tra Rifondazione Comunista e il PDS (poi DS, poi PD). La citazione è questa:  “I merli coi merli, i passeri coi passeri”.  A ben vedere, essa indica  il modo di superare le ambiguità dell'offerta politica italiana dal 1994 ai giorni nostri. 
Oggi nel PD c'è la sinistra (i merli) che convive con i riformisti (i passeri domestici); nel PDL ci sono i liberali (i passeri italici) in coabitazione con la  destra (i corvi). Due connubi innaturali, conseguenza obbligata di un bipartitismo che però ormai si sta sgretolando. I riformisti stanno nel PD soprattutto perché detestano la destra; i liberali stanno nel PDL solo perché dall'altra parte c'è anche la sinistra. Ma le due famiglie di passeri, ora divise, sono più affini tra di loro che non alla parte radicale con la quale ciascuna di esse convive. Se i merli del PD se ne vanno per conto loro e si aggregano ad altri merli (Ingroia, Vendola), i passeri del PD (quelli domestici) si liberano da una relazione innaturale. Ma questa separazione probabilmente ne consentirebbe subito un'altra: i liberali del PDL (i passeri italici) potrebbero lasciare al loro nero destino i corvi della destra, dopo di che la famiglia dei passeri - italici, domestici e la recente varietà ibrida chiamata "passer solitarius" (volgarmente detta “sceltacivica”) - potrebbe riunirsi e così ognuno avrebbe il proprio nido: i merli, i passeri e i corvi. Ciascuno il suo.
Fuor di metafora, avremmo una sinistra (da Bersani a Diliberto), un centro e una destra (quest'ultima costituita solo dagli irriducibili berlusconiani, guidati da un leader quasi ottantenne). Tra tutti questi volatili finalmente  in pace con la rispettiva natura resterebbe poco spazio per i grilli. Così, nell'arco di pochi anni avremmo semplicemente un partito progressista ed un partito conservatore (Wights e Tories; SPD e CDU), con qualche frangia radicale, ininfluente ma necessaria, a destra e a sinistra e qualche residuo frinito del grillo campestre. Saremmo un Paese normale. Ma devono muoversi in volo i passeri domestici, anche se dovessero temporeggiare i merli. 

mercoledì 3 aprile 2013

Bersani, la botte piena e la moglie ubriaca.


E' difficile comprendere Bersani. 
Se trova l'accordo col M5S avrà al Senato una maggioranza con una quindicina di voti di margine e potrà governare (sia pure con i "demagoghi, populisti, euroscettici" contro i quali aveva tuonato assieme a Monti in campagna elettorale). Ma il M5S è ormai un mese che gli fa le pernacchie e prima o poi lo denuncerà per stalking. Comunque, se pensa di farcela a convincere Grillo si dia da fare, e auguri. 
Bersani non può però pensare che un Presidente della Repubblica serio lo mandi di fronte alle camere fino a che permanga la fondata previsione che la fiducia non la ottenga, viste le dichiarazioni dei rappresentanti dei gruppi parlamentari.  Vorrebbe dire mettere su un governo che, con oggettiva probabilità,  non otterrà la fiducia (se non sottobanco), ma che ciò nonostante - senza aver mai avuto la fiducia di nessuno - resterebbe in carica, sia pure per gli affari correnti (e gestirebbe le prossime elezioni anticipate...). Un governo che tra l'altro rappresenterebbe appena il 29% degli elettori (ed oggi forse anche meno, visti gli ultimi sondaggi di Ballarò), che quindi non rappresenterebbe il restante 71% del Paese  e che si farebbe forte solo del bottino incassato grazie alla legge-truffa (peraltro insufficiente al Senato, ma il premio c'è stato anche lì: 123 senatori su 315 col 31%). 
L'ipotesi voluta da Bersani è costituzionalmente molto dubbia. E' vero che nessun Presidente della Repubblica può prevedere  con certezza se un governo avrà o non avrà la fiducia. Ma se quello che gli riferiscono i rappresentanti dei gruppi parlamentari esclude che una maggioranza possa esservi, nominare comunque un governo e farlo presentare al Parlamento sarebbe una mossa ai limiti della Costituzione, anche se con qualche precedente nella prima Repubblica: Fanfani nel 1987; Tambroni nel 1960 con la conseguenza dei gravi moti di piazza a Genova organizzati dal PCI; a ben vedere lo stesso Berlusconi nel 1994, quando sulla carta gli sarebbe mancato un voto al Senato - ma oggi a Bersani ne mancano 37. Se una tale prassi fosse ritenuta ammissibile, un Presidente "disinvolto" potrebbe mettere su un qualsiasi governo a suo piacimento, farlo presentare alle Camere, farlo bocciare: resterebbe comunque in carica al posto del precedente, sia pure solo per gli affari correnti (che non sono pochi, né di scarsa importanza). Non per niente il saggio Napolitano si è rifiutato di mandare Bersani a cercare la maggioranza al buio di fronte al Parlamento.  Gli mancano 37 voti, non uno o due.
Resta il dubbio che, stando così le cose, in carica per gli affari correnti rimane un governo che non ha legami col rinnovato Parlamento ed il cui leader ha conseguito un risultato elettorale ancor più insoddisfacente di Bersani. Tuttavia l'operatività del governo Monti ha una sua legittimità costituzionale: è un governo che è entrato nel pieno dei poteri avendo avuto la fiducia, che si è dimesso (peraltro senza essere stato sfiduciato), che ha gestito le elezioni perché la Costituzione  così prevede, che è ancora in carica solo perché non c'è nessun altro governo che abbia presentato i requisiti per ottenere la nomina e per potersi presentare alle Camere nel rispetto della Costituzione (e cioè sulla prospettiva fondata  di ottenere la fiducia).  E' molto più coerente con l'impalcatura costituzionale il perdurare del governo Monti piuttosto che la sua sostituzione con un governo Bersani, almeno fintanto che, per quest'ultimo, di prospettiva fondata ci sia solo quella di non poter ottenere la fiducia di entrambe le Camere. E' normale che dopo la fine di una legislatura rimanga in carica il governo precedente per l'ordinaria amministrazione, anche se espressione del precedente Parlamento: è l'assetto previsto dal nostro ordinamento costituzionale. Meno normale è che si passi da un governo a poteri "affievoliti" ad un altro governo con poteri "affievoliti" che nasca solo dalla decisione avventurosa di un Presidente della Repubblica che nomini un governo nella consapevolezza che la fiducia non sarà ottenuta perché così è emerso da ripetute consultazioni con i gruppi parlamentari.    
Cosa direbbe oggi Bersani se, con gli stessi risultati del 24-25 febbraio, ma ribaltati, Berlusconi pretendesse di essere mandato alle Camere in forza - grazie alla legge elettorale - della sua maggioranza assoluta alla Camera e dei sui 123 senatori su 315, sapendo che se la fiducia non la ottenesse, rimarrebbe in carica per gli affari correnti e gestirebbe, lui, le prossime elezioni anticipate? Domanda cattiva, ma con onestà bisogna porsela. Sappiamo cosa direbbe Bersani in questo caso, che è ipotetico ma mica tanto lontano dalla realtà (sarebbe bastato che la Sudtiroler Volkspartei, col suo 0,43%, non si fosse alleata in coalizione col centrosinistra, ma avesse corso da sola: il centrodestra sarebbe rimasto  al suo 29,18% ma il centrosinistra sarebbe sceso al 29,12%; Berlusconi avrebbe oggi la maggioranza assoluta della Camera e quella relativa al Senato, proprio come oggi ce l'ha  Bersani grazie al partito di lingua tedesca dell'Alto Adige).
E' vero che il centrodestra non ha titolo per protestare, perché la legge truffa, a suo tempo, se l'è voluta e se l'è votata pensando di fregare il centrosinistra. Ma i cittadini normali, invece, ce l'hanno eccome il diritto di protestare per una legge che assegna 340 seggi alla Camera su 630 a chi ottenga anche un solo voto più degli altri; anche a chi "vince" solo col 10%, se il secondo arrivato ha il 9,9%.  E peraltro questa legge se la son tenuti tutti stretta, Bersani compreso, che oggi ne è il maggior beneficiario anche se si lamenta di essa (avrebbe anzi desiderato un effetto truffaldino maggiore al Senato; quello della Camera invece gli va bene). 
Stranamente oggi Bersani, secondo alcune notizie di stampa, reclama che i voti del PD non possono valere meno degli altri voti. Si sta evidentemente perdendo il senso della realtà delle cose: in base all'attuale legge elettorale, i voti che ha ottenuto il PD valgono - tradotti in seggi - circa il 40% in più dei voti degli altri. Se neppure così si riesce ad avere la possibilità di governare, bisogna farsi tutt'altro tipo di domande, possibilmente davanti ad uno specchio. 
Lì, di fronte a quello specchio, occorrerebbe chiedersi prima di tutto come sia stato possibile non stravincere elezioni come le ultime, contro un avversario al centro di vicende disgustose, braccato dai pubblici ministeri di mezza Italia, deriso dal consesso internazionale, reduce da un'esperienza di governo disastrosa. Se non si riesce a vincere chiaramente neppure in queste condizioni, allora quando? Però questa domanda si preferisce non porsela, perché se ne conosce già la risposta e la si teme. Ma se si continua a indicare la causa solo nella malvagità del nemico, o nella idiozia dei nostri concittadini elettori che lo votano, o nella loro personale disonestà e complicità, come si è fatto in questi ultimi venti anni, i risultati continueranno ad essere quelli che, appunto, si sono visti negli ultimi venti anni. Forse è il momento di chiedersi se per caso non ci sia qualcosa in noi, che non va. Ma l'attuale classe dirigente al potere nel PD non nutre il minimo dubbio al riguardo, e vuol governare per forza. E allora continui così.
Bersani accusa poi Berlusconi di ostacolare la formazione di un governo di centrosinistra. Quando si attacca Berlusconi, si val sul sicuro su tutti i fronti, tranne che su uno: tranne appunto il fronte sul quale ora si impegna Bersani. Secondo quest'ultimo, quali sarebbero le responsabilità del centrodestra se egli non riesce a fare un governo? Bersani vuole una cosa impossibile: che il PDL stia all'opposizione, ma che gli consenta di avere la fiducia al Senato. E come si fa? Se si dà o si consente la fiducia, non si è - per forza di cose - all'opposizione. E se si sta all'opposizione, vuol dire che non si dà né si consente, neppure con qualche fantasiosa forma di desistenza, la fiducia al governo al quale ci si oppone. E' lapalissiano.  Vuole forse, Bersani, che il PDL proceda all'espulsione di una quarantina di propri senatori - tanti gliene servono - e che questi poi autonomamente decidano di aderire al gruppo del PD? Onestamente: cosa dovrebbe fare Berlusconi per accontentare Bersani, che vuole avere la fiducia nonostante il diniego di Grillo, ma contemporaneamente vuole anche tenere il centrodestra all'opposizione? Se la botte è piena, la moglie non è ubriaca; se la moglie si è ubriacata, la botte non è più piena. A meno che non si pensi che la moglie possa ubriacarsi col vino degli altri, ma difficilmente in politica ciò può accadere gratuitamente. 
L'unica strada di Bersani è quella di convincere Grillo, ma se non ci riesce non può obbligarlo. Se ne faccia una ragione, e il PD trovi altre soluzioni e altri leader.