Dopo l'incarico a Enrico Letta, solo una cosa è sicura: Bersani non ha più il suo pre-incarico, al quale non ha mai rinunciato e che Napolitano non gli ha mai revocato formalmente; una stranezza che nessuno ci spiegherà mai.
Per il resto la situazione resta oltremodo incerta dati i malumori di una parte del PD e la voglia di stravincere del PDL.
Ma per il tentativo di Letta questi due rischi non hanno la stessa intensità.
L'Italia che attende un governo che la tolga dal disastro non deve tanto temere i mal di pancia del PD, perché questo partito è ormai un arcipelago sbattuto dalla tempesta dove ogni isola fa repubblica a sé e combatte tutte le altre. Le isole che appoggeranno Letta non saranno tutte, ma basteranno.
I rischi vengono dal centrodestra, che è alluzzato dall'idea di cogliere il momento favorevole e sbaragliare definitivamente un nemico in disarmo. In un modo o nell'altro: o insistendo per imporre gran parte del proprio programma e di propri ministri "storici" o - se non va - attendendo con l'acquolina in bocca nuove elezioni anticipate. Infatti gli ultimissimi sondaggi danno il centrodestra al 35%, il centrosinistra al 26,4% e il M5S al 30% (EMG per La7 pubblicato il 24.4.2013; rilevazioni del 18-19 aprile: prima del tonfo su Prodi... chissà dopo...). Senza un accordo di coalizione tra M5S, PD e SEL l'attuale legge elettorale, con queste percentuali, darebbe una sicura maggioranza al centrodestra sia alla Camera sia - probabilmente - anche al Senato.
La probabilità maggiore è quindi che il tentativo di Letta naufraghi per colpa del PDL più che del PD.
Il Presidente della Repubblica potrebbe avere due armi da giocare per ridurre a più miti consigli - separatamente - gli uni e gli altri.
Al PDL il Presidente potrebbe minacciare, in caso di mancato accordo, non lo scioglimento delle Camere, ma le proprie dimissioni, evento che imporrebbe una nuova elezione presidenziale nella quale, con l'attuale Parlamento, che rimarrebbe immutato, prevarrebbe facilmente Prodi o Rodotà dato che, a quel punto, il naufragio di ogni ipotesi di "larghe intese" nella vicenda governativa si rifletterebbe anche anche nella nuova elezione presidenziale. Una bella minaccia per il centrodestra.
Al centrosinistra Napolitano potrebbe più semplicemente minacciare nuove elezioni, che sarebbero tombali per un PD senza guida e senza immagine: in una parola, un PD che non è un partito.
Ma Napolitano deve essere abile nell'usare queste armi, perché altrimenti ciascuna parte cercherà di fargli sparare quella che colpisce l'avversario. Deve bluffare con gli uni e con gli altri.
Al PDL il Presidente potrebbe minacciare, in caso di mancato accordo, non lo scioglimento delle Camere, ma le proprie dimissioni, evento che imporrebbe una nuova elezione presidenziale nella quale, con l'attuale Parlamento, che rimarrebbe immutato, prevarrebbe facilmente Prodi o Rodotà dato che, a quel punto, il naufragio di ogni ipotesi di "larghe intese" nella vicenda governativa si rifletterebbe anche anche nella nuova elezione presidenziale. Una bella minaccia per il centrodestra.
Al centrosinistra Napolitano potrebbe più semplicemente minacciare nuove elezioni, che sarebbero tombali per un PD senza guida e senza immagine: in una parola, un PD che non è un partito.
Ma Napolitano deve essere abile nell'usare queste armi, perché altrimenti ciascuna parte cercherà di fargli sparare quella che colpisce l'avversario. Deve bluffare con gli uni e con gli altri.
E se le usasse entrambe ("Sciolgo le camere ed il giorno dopo, a camere sciolte, mi dimetto")? Questa soluzione andrebbe bene a Berlusconi perché le Camere sciolte non possono eleggere il Presidente: subentrerebbe il Presidente del Senato e il nuovo Presidente della Repubblica sarebbe eletto dal nuovo Parlamento (Cost. art. 85, 3^ comma e art. 86, 2^ comma) che sarebbe probabilmente a maggioranza di centrodestra. Ci potrebbe quindi toccare, prima della fine dell'anno, un Berlusconi Presidente della Repubblica.
Sarà quindi bene che il PD non offra pretesti per il naufragio di Letta.
Sarà quindi bene che il PD non offra pretesti per il naufragio di Letta.
Bersani non può però pensare che un Presidente della Repubblica serio lo mandi di fronte alle camere fino a che permanga la fondata previsione che la fiducia non la ottenga, viste le dichiarazioni dei rappresentanti dei gruppi parlamentari. Vorrebbe dire mettere su un governo che, con oggettiva probabilità, non otterrà la fiducia (se non sottobanco), ma che ciò nonostante - senza aver mai avuto la fiducia di nessuno - resterebbe in carica, sia pure per gli affari correnti (e gestirebbe le prossime elezioni anticipate...). Un governo che tra l'altro rappresenterebbe appena il 29% degli elettori (ed oggi forse anche meno, visti gli ultimi sondaggi di Ballarò), che quindi non rappresenterebbe il restante 71% del Paese e che si farebbe forte solo del bottino incassato grazie alla legge-truffa (peraltro insufficiente al Senato, ma il premio c'è stato anche lì: 123 senatori su 315 col 31%).
L'ipotesi voluta da Bersani è costituzionalmente molto dubbia. E' vero che nessun Presidente della Repubblica può prevedere con certezza se un governo avrà o non avrà la fiducia. Ma se quello che gli riferiscono i rappresentanti dei gruppi parlamentari esclude che una maggioranza possa esservi, nominare comunque un governo e farlo presentare al Parlamento sarebbe una mossa ai limiti della Costituzione, anche se con qualche precedente nella prima Repubblica: Fanfani nel 1987; Tambroni nel 1960 con la conseguenza dei gravi moti di piazza a Genova organizzati dal PCI; a ben vedere lo stesso Berlusconi nel 1994, quando sulla carta gli sarebbe mancato un voto al Senato - ma oggi a Bersani ne mancano 37. Se una tale prassi fosse ritenuta ammissibile, un Presidente "disinvolto" potrebbe mettere su un qualsiasi governo a suo piacimento, farlo presentare alle Camere, farlo bocciare: resterebbe comunque in carica al posto del precedente, sia pure solo per gli affari correnti (che non sono pochi, né di scarsa importanza). Non per niente il saggio Napolitano si è rifiutato di mandare Bersani a cercare la maggioranza al buio di fronte al Parlamento. Gli mancano 37 voti, non uno o due.
Resta il dubbio che, stando così le cose, in carica per gli affari correnti rimane un governo che non ha legami col rinnovato Parlamento ed il cui leader ha conseguito un risultato elettorale ancor più insoddisfacente di Bersani. Tuttavia l'operatività del governo Monti ha una sua legittimità costituzionale: è un governo che è entrato nel pieno dei poteri avendo avuto la fiducia, che si è dimesso (peraltro senza essere stato sfiduciato), che ha gestito le elezioni perché la Costituzione così prevede, che è ancora in carica solo perché non c'è nessun altro governo che abbia presentato i requisiti per ottenere la nomina e per potersi presentare alle Camere nel rispetto della Costituzione (e cioè sulla prospettiva fondata di ottenere la fiducia). E' molto più coerente con l'impalcatura costituzionale il perdurare del governo Monti piuttosto che la sua sostituzione con un governo Bersani, almeno fintanto che, per quest'ultimo, di prospettiva fondata ci sia solo quella di non poter ottenere la fiducia di entrambe le Camere. E' normale che dopo la fine di una legislatura rimanga in carica il governo precedente per l'ordinaria amministrazione, anche se espressione del precedente Parlamento: è l'assetto previsto dal nostro ordinamento costituzionale. Meno normale è che si passi da un governo a poteri "affievoliti" ad un altro governo con poteri "affievoliti" che nasca solo dalla decisione avventurosa di un Presidente della Repubblica che nomini un governo nella consapevolezza che la fiducia non sarà ottenuta perché così è emerso da ripetute consultazioni con i gruppi parlamentari.
Cosa direbbe oggi Bersani se, con gli stessi risultati del 24-25 febbraio, ma ribaltati, Berlusconi pretendesse di essere mandato alle Camere in forza - grazie alla legge elettorale - della sua maggioranza assoluta alla Camera e dei sui 123 senatori su 315, sapendo che se la fiducia non la ottenesse, rimarrebbe in carica per gli affari correnti e gestirebbe, lui, le prossime elezioni anticipate? Domanda cattiva, ma con onestà bisogna porsela. Sappiamo cosa direbbe Bersani in questo caso, che è ipotetico ma mica tanto lontano dalla realtà (sarebbe bastato che la Sudtiroler Volkspartei, col suo 0,43%, non si fosse alleata in coalizione col centrosinistra, ma avesse corso da sola: il centrodestra sarebbe rimasto al suo 29,18% ma il centrosinistra sarebbe sceso al 29,12%; Berlusconi avrebbe oggi la maggioranza assoluta della Camera e quella relativa al Senato, proprio come oggi ce l'ha Bersani grazie al partito di lingua tedesca dell'Alto Adige).
Lì, di fronte a quello specchio, occorrerebbe chiedersi prima di tutto come sia stato possibile non stravincere elezioni come le ultime, contro un avversario al centro di vicende disgustose, braccato dai pubblici ministeri di mezza Italia, deriso dal consesso internazionale, reduce da un'esperienza di governo disastrosa. Se non si riesce a vincere chiaramente neppure in queste condizioni, allora quando? Però questa domanda si preferisce non porsela, perché se ne conosce già la risposta e la si teme. Ma se si continua a indicare la causa solo nella malvagità del nemico, o nella idiozia dei nostri concittadini elettori che lo votano, o nella loro personale disonestà e complicità, come si è fatto in questi ultimi venti anni, i risultati continueranno ad essere quelli che, appunto, si sono visti negli ultimi venti anni. Forse è il momento di chiedersi se per caso non ci sia qualcosa in noi, che non va. Ma l'attuale classe dirigente al potere nel PD non nutre il minimo dubbio al riguardo, e vuol governare per forza. E allora continui così.