Chi osservi con distacco gli stati
d'animo che si agitano nella sinistra italiana dopo l'avvento del
governo Renzi può scorgere da un lato coloro i quali celebrano
con un po' di boria la conquista del potere: tanto la desideravano
da non porsi il problema della collocazione a sinistra o meno del premier
secondo le categorie politiche a.M (avanti Matteo). Costoro avvertono
il fastidio di quei sassolini nella scarpa che rispondono ai nomi di
Alfano ecc., ma istintivamente li rimuovono per non turbare l'estasi
del momento magico: la sinistra al potere!
Da un altro lato vi sono coloro i quali
vedono quei sassolini come macigni e protestano contro
l'usurpazione subita a loro avviso dalla sinistra finalmente
vittoriosa ma così timida da subire i condizionamenti dei poteri forti.
Gli uni e gli altri partono da un
presupposto comune: la sinistra ha vinto. Si dividono invece su come
sia stata utilizzata la vittoria.
Però alle elezioni dello scorso
anno il PD (a.M) ha raggiunto appena il 25,4%, cioè meno del
PCI nel 1963, mezzo secolo prima (25,6%). La coalizione di
centrosinistra è arrivata al 29,5% grazie all'apporto
congiunto di Vendola, Bersani, Tabacci e Durnwalder (decisivo con la
sua rivoluzionaria Sudtiroler Volkspartei: senza questo apporto il
premio di maggioranza l'avrebbe carpito il centrodestra). Con questa
“vittoria” il PD ha conseguito circa 150 seggi parlamentari in più
rispetto a quanti gliene sarebbero spettati proporzionalmente e
grazie a questo regalo, conseguito in virtù di una legge
costituzionalmente illegittima, ha egemonizzato il panorama
politico; ciò nonostante qualcuno non è neppure del
tutto contento e avrebbe voluto di più (la maggioranza
assoluta anche al Senato, con meno del 30% dei voti!).
Sarebbe quindi il caso di suggerire al
PD (d.M) di valutare con più disincanto la propria reale forza
rappresentativa - che alle ultime elezioni di un anno fa si dimostrò
modesta - e di usarla non per disegnare a propria immagine le
magnifiche sorti e progressive del millennio, ma solo per dare una
prima risposta ai più urgenti problemi economico-occupazionali
e per approvare una legge elettorale con la quale gli italiani
possano, prima possibile, eleggere un Parlamento nei rispetto dei
principi costituzionali oggi violati. Un Parlamento che, eletto in
modo costituzionalmente corretto, sia anche legittimato - diversamente dall'attuale - ad assumere
decisioni di rilevante portata e proiettate nel tempo.
Invece, in presenza della evidente distorsione del principio di rappresentatività democratica, sanzionata ufficialmente dalla sentenza della Corte Costituzionale, si parla di un Governo e di un Parlamento che dovrebbero durare fino al 2018, utilizzando l'alterata ripartizione dei seggi per assumere decisioni anche rilevanti, come sicuramente sarà necessario in un arco temporale così prolungato.
Invece, in presenza della evidente distorsione del principio di rappresentatività democratica, sanzionata ufficialmente dalla sentenza della Corte Costituzionale, si parla di un Governo e di un Parlamento che dovrebbero durare fino al 2018, utilizzando l'alterata ripartizione dei seggi per assumere decisioni anche rilevanti, come sicuramente sarà necessario in un arco temporale così prolungato.
Dalle pur suggestive narrazioni di
Renzi alla Camera ed al Senato pochi sono riusciti a capire quale sia
il programma del nuovo Governo. Subito dopo, nelle varie interviste,
Renzi ha eluso domande specifiche soprattutto in campo economico,
trincerandosi dietro un "aspettate e vedrete" che può
stare bene sulle labbra anche di chi non sa - perché ancora
non glielo hanno detto - ma vuol far credere di sapere. E'
sicuramente presto per dare giudizi, ma non per essere pervasi da
dubbi. Nel Regno Unito esiste un governo effettivo ed un
"governo-ombra"; anche da noi in passato il centrosinistra
ha formato dei propri governi-ombra quando era all'opposizione. In
questi casi è chiaro chi governa e chi sta a guardare. Forse
qui da noi sta accadendo l'opposto: un "governo-ombra" -
dalla faccia poco presentabile - che governa appunto nell'ombra (di
ridenti vallate elvetiche, sebbene con ufficio stampa a Roma), ed un
governo ufficiale che - in cambio di una scintillante ma innocua
play-station con la quale si gioca al governo della Repubblica - ci
mette la faccia, dato che, a differenza di quella tenuta nell'ombra,
questa è giovane ed accattivante.
Il dubbio di decisioni già
assunte “altrove” sembra confermato anche da una curiosa sequenza
di dichiarazioni sulle misure economiche. In sede europea, Oli Rehn
dopo l'insediamento del governo ha dichiarato: “Padoan sa cosa deve
fare”. Pochi giorni dopo, il neo ministro all'Economia Padoan ha
rilanciato: ”Il governo sa cosa c'è da fare” e Renzi, alla
sua prima uscita a Bruxelles, ha confermato “L'Italia sa
perfettamente cosa deve fare”.
Qui tutti lo sanno che cosa c'è
da fare, ma non ce lo dicono. Siccome però, alla fine, quello
che c'è da fare toccherà farlo a noi, potrebbero avere
almeno la compiacenza di dirci cosa?
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