sabato 8 marzo 2014

Renzeide, primi atti.

Chi osservi con distacco gli stati d'animo che si agitano nella sinistra italiana dopo l'avvento del governo Renzi può scorgere da un lato coloro i quali celebrano con un po' di boria la conquista del potere: tanto la desideravano da non porsi il problema della collocazione a sinistra o meno del premier secondo le categorie politiche a.M (avanti Matteo). Costoro avvertono il fastidio di quei sassolini nella scarpa che rispondono ai nomi di Alfano ecc., ma istintivamente li rimuovono per non turbare l'estasi del momento magico: la sinistra al potere!
Da un altro lato vi sono coloro i quali vedono quei sassolini come macigni e protestano contro l'usurpazione subita a loro avviso dalla sinistra finalmente vittoriosa ma così timida da subire i condizionamenti dei poteri forti.
Gli uni e gli altri partono da un presupposto comune: la sinistra ha vinto. Si dividono invece su come sia stata utilizzata la vittoria.
Però alle elezioni dello scorso anno il PD (a.M) ha raggiunto appena il 25,4%, cioè meno del PCI nel 1963, mezzo secolo prima (25,6%). La coalizione di centrosinistra è arrivata al 29,5% grazie all'apporto congiunto di Vendola, Bersani, Tabacci e Durnwalder (decisivo con la sua rivoluzionaria Sudtiroler Volkspartei: senza questo apporto il premio di maggioranza l'avrebbe carpito il centrodestra). Con questa “vittoria” il PD ha conseguito circa 150 seggi parlamentari in più rispetto a quanti gliene sarebbero spettati proporzionalmente e grazie a questo regalo, conseguito in virtù di una legge costituzionalmente illegittima, ha egemonizzato il panorama politico; ciò nonostante qualcuno non è neppure del tutto contento e avrebbe voluto di più (la maggioranza assoluta anche al Senato, con meno del 30% dei voti!).
Sarebbe quindi il caso di suggerire al PD (d.M) di valutare con più disincanto la propria reale forza rappresentativa - che alle ultime elezioni di un anno fa si dimostrò modesta - e di usarla non per disegnare a propria immagine le magnifiche sorti e progressive del millennio, ma solo per dare una prima risposta ai più urgenti problemi economico-occupazionali e per approvare una legge elettorale con la quale gli italiani possano, prima possibile, eleggere un Parlamento nei rispetto dei principi costituzionali oggi violati. Un Parlamento che, eletto in modo costituzionalmente corretto, sia anche legittimato - diversamente dall'attuale - ad assumere decisioni di rilevante portata e proiettate nel tempo.
Invece, in presenza della evidente distorsione del principio di rappresentatività democratica, sanzionata ufficialmente dalla sentenza della Corte Costituzionale, si parla di un Governo e di un Parlamento che dovrebbero durare fino al 2018,  utilizzando l'alterata ripartizione dei seggi per assumere decisioni anche rilevanti, come sicuramente sarà necessario in un arco temporale così prolungato.

Dalle pur suggestive narrazioni di Renzi alla Camera ed al Senato pochi sono riusciti a capire quale sia il programma del nuovo Governo. Subito dopo, nelle varie interviste, Renzi ha eluso domande specifiche soprattutto in campo economico, trincerandosi dietro un "aspettate e vedrete" che può stare bene sulle labbra anche di chi non sa - perché ancora non glielo hanno detto - ma vuol far credere di sapere. E' sicuramente presto per dare giudizi, ma non per essere pervasi da dubbi. Nel Regno Unito esiste un governo effettivo ed un "governo-ombra"; anche da noi in passato il centrosinistra ha formato dei propri governi-ombra quando era all'opposizione. In questi casi è chiaro chi governa e chi sta a guardare. Forse qui da noi sta accadendo l'opposto: un "governo-ombra" - dalla faccia poco presentabile - che governa appunto nell'ombra (di ridenti vallate elvetiche, sebbene con ufficio stampa a Roma), ed un governo ufficiale che - in cambio di una scintillante ma innocua play-station con la quale si gioca al governo della Repubblica - ci mette la faccia, dato che, a differenza di quella tenuta nell'ombra, questa è giovane ed accattivante.

Il dubbio di decisioni già assunte “altrove” sembra confermato anche da una curiosa sequenza di dichiarazioni sulle misure economiche. In sede europea, Oli Rehn dopo l'insediamento del governo ha dichiarato: “Padoan sa cosa deve fare”. Pochi giorni dopo, il neo ministro all'Economia Padoan ha rilanciato: ”Il governo sa cosa c'è da fare” e Renzi, alla sua prima uscita a Bruxelles, ha confermato “L'Italia sa perfettamente cosa deve fare”.
Qui tutti lo sanno che cosa c'è da fare, ma non ce lo dicono. Siccome però, alla fine, quello che c'è da fare toccherà farlo a noi, potrebbero avere almeno la compiacenza di dirci cosa?


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