Fino al 2 aprile prossimo si può
visitare a Firenze la mostra “In viaggio con don Cuba” nella galleria delle
Carrozze al piano terreno del palazzo Medici Riccardi (orario 11-19;
chiuso il lunedì).
E' un allestimento curato da Lorenzo
Bojola che ci fa percorrere lo straordinario viaggio compiuto da don
Danilo Cubattoli nel 1954, assieme all'amico Steve (Stefano Ugolini),
attraverso tre continenti – Europa, Asia, Africa – su due moto
Motom Delfino; quella di Don Cuba accoglie il visitatore proprio
all'ingresso.
Don Cuba, ordinato sacerdote nel 1948,
era originario di San Donato in Poggio, dove era nato nel 1922 e nel
cui cimitero riposa dal dicembre del 2006. Prete sui generis ma mai ribelle, poco
adatto alla cura parrocchiale, dove le anime vengono da sole, e
sempre “proiettato in fuori” a cercare quelle lontane. Diceva di
essersi fatto prete per quelli che avevano a noia i preti. Bisognava
quindi andare a cercarli, costoro, nei bar di San Frediano, dove
nella miseria del dopoguerra si consumavano in pari dose vino e
bestemmie; o tra i ladruncoli di
Piazza de' Nerli o di via del Campuccio; o fra i ragazzacci delle
bande di Via del Piaggione o di Piazza del Carmine. E poi i
carcerati, prima alle Murate, dopo a Sollicciano. Il suo rapporto con San Frediano durato tutta la vita era nato ai tempi del seminario di Cestello, durante la guerra e la fame di quella gente. "S'ha fame a pane": era il grido che Don Cuba raccontava di udire dalle finestre del seminario. Pane, non brioche. "Babbo, bisogna che tu mi porti un po' di filoni di pane, per questi ragazzi". E il babbo, da San Donato in Poggio, glieli portava. Era lui a cercare
gli altri, ma chi lo cercava, lo trovava: o in San Frediano, o alla
Villa Favorita del Galluzzo dove viveva presso le suore elisabettine,
o – d'estate – alla colonia di Molino a Fuoco vicino a Vada. Negli ultimi anni, quando erano ormai entrambi vecchi, Steve, per invitarlo a pranzo, gli metteva un bigliettino sotto il
sellino della moto parcheggiata davanti a Sollicciano e lui la
domenica si presentava con un carcerato che gli era stato affidato e
con semplicità spiegava alla moglie di Steve, nel quieto
dopopranzo, che quell'uomo silenzioso e sorridente – che nel
frattempo era uscito in giardino a giocare coi figli della coppia -
era in carcere per aver ucciso due bambini, anni prima. Cuba era
introvabile solo in occasione delle mostre del cinema, sua grande
passione perché strumento di dialogo e di avvicinamento. Cuba
accompagnò al cimitero di Mercatale Pietro Pacciani e lo
benedisse, in un funerale a due – prete e morto, nessun altro aveva
osato essere presente. Quel giorno il Cuba aveva veramente raggiunto
l'ultimo uomo del mondo. Un viaggio lunghissimo e periglioso ben più
di quello in Africa.
Don Danilo Cubattoli (1922 - 2006) |
Percorrendo la sala delle Carrozze ci
si sofferma sulle varie tappe del viaggio e sugli eventi avventurosi
che un'impresa del genere porta con sé. Sì. Tutto molto
interessante ed in certi momenti il cuore sale in gola al visitatore
che ha la fortuna di avere dei ricordi diretti. Ma una domanda si
insinua, indiscreta e fastidiosa. Perché? Cosa spinse Don Cuba
a fare quel viaggio che mise in apprensione i suoi amici, il babbo,
la sorella, il cardinale Dalla Costa che gli aveva dato il permesso,
il sindaco La Pira, la Ghita Vogel, la Fioretta Mazzei, le suorine
della Favorita Suor Rina, Suor Germana, Suor Barbarina, Suor
Evangelina?
Certo, Cuba voleva celebrare la messa
sul Kilimangiaro, in onore dei lavoratori di tutto il mondo. E lo
fece. Voleva trovare la tomba del sanfredianino Dante Cellai nella
distesa di croci di El Alamein, per portarne una foto alla mamma. E
lo fece. Voleva portare i messaggi di La Pira alle varie personalità
dei paesi attraversati, e lo fece. Doveva scrivere qualche reportage
per il “Giornale del mattino” in cambio di un modesto aiuto per le spese. Mah .. era questo che spinse Cuba a quel viaggio?
Nel fascicolo che illustra la mostra ad
un certo punto si leggono queste parole della moglie di Steve: “Se
tu avessi chiesto direttamente al Cuba quali furono i motivi di quel
viaggio, lui ti avrebbe risposto, semplicemente, che era una bella
avventura per conoscere il mondo.” Risposta probabilmente vera;
semplice, ma coerente con la semplicità del Cuba, per il quale
molte cose erano semplici perché egli andava oltre di esse e
sapeva quanto solide e chiare fossero le fondamenta sulle quali
poggiavano. La semplicità c'era, ed era vera, ma era un po'
più in là di quella che tutti potevano vedere.
Rimuginando su questo interrogativo non
risolto da risposte parziali e mai del tutto soddisfacenti, un paio
di giorni dopo mi capita l'inatteso dono di leggere sul Corriere
della Sera di domenica 9 marzo l'appunto del cardinale di Cuba (o
perbacco, le coincidenze!) Jaime Lucas Ortega y Alamino nel quale
l'elettore papale riporta le parole pronunciate dal cardinale Jorge
Mario Bergoglio il 9 marzo dell'anno scorso, in una delle riunioni
che precedettero il conclave. “Nell'Apocalisse Gesù dice che
Lui sta sulla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al
fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per entrare ... Però
a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo
lasciamo uscire ... Pensando al prossimo Papa: un uomo che,
attraverso la contemplazione di Gesù Cristo e l'adorazione di
Gesù Cristo aiuti la Chiesa a uscire da sé stessa verso
le periferie esistenziali ...”.
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