L'esito delle elezioni politiche ha
visto cadere la prospettiva di governo autonomo del centrosinistra
ed ora sta affiorando un convergente favore dei sostenitori del PD e
del M5S per un accordo tra questi due gruppi parlamentari. Sia pure limitato per ora alla base elettorale, almeno per quanto riguarda il M5S, l'imprevisto colpo di fulmine dopo mesi di vituperi reciproci è
scoccato con l'apertura avanzata da Bersani. Come prima ipotesi si poteva dar per certo che prima di esplicitare ufficialmente una simile e rilevante posizione vi fosse stato un qualche preventivo approccio
di esito almeno non negativo con l'interlocutore. Così si
credeva che operassero gli statisti e che così fosse accaduto,
ma evidentemente, visti gli insulti che Bersani ha subito ricevuto in
risposta, ci si sbagliava. Non c'era stato nessun sondaggio preventivo. Ma è possibile che il capo del
centrosinistra abbia parlato di prospettive politiche come possono farlo i suoi compaesani al tavolo del tressette della
Casa del Popolo di Bettola: d'istinto e di pancia, un po' a vanvera,
senza preoccuparsi delle reazioni? Potrebbero esservi quindi altre
spiegazioni che rendano maggior onore almeno alla furbizia di
Bersani, se non alle sue doti di statista. La prima è che la
replica umiliante che egli ha ricevuto sia stata ricercata
volutamente, allo scopo di avere l'alibi per seguire strade opposte
e molto osteggiate dalla base del suo partito: “Volevamo fare un
accordo a sinistra con Grillo, ma avete visto com'è andata.
Ora non c'è altra alternativa che turarsi il naso e ricercare
intese a tempo col centrodestra”. L'altra chiave di lettura, più
in linea con l'etica della seconda Repubblica e che forse vedremo
concretizzarsi nelle prossime settimane, potrebbe essere quella di un
tentativo di far emergere nel gruppo senatoriale M5S le posizioni più
favorevoli all'accordo col PD per preparare la strada ad una
fuoriuscita di “responsabili” neo-scilipotiani che vadano a
costituire un raggruppamento autonomo per sostenere organicamente e
stabilmente di un governo PD-SEL. Di queste tre ipotesi, non so
quale sia la più preoccupante.
Su un piano più sostanziale, in
merito ad un possibile accordo tra PD-SEL e il M5S riesce
difficile convincersi che un governo del genere possa dar vita ad una
azione concorde ed organica. Inoltre sfugge a molti che questa
soluzione incoronerebbe di nuovo Silvio Berlusconi come Capo Unico
dell'Opposizione e ne farebbe il probabile vincitore al prossimo
turno (ha quasi vinto questa volta... ed è tutto dire). Vi
sono quattro o cinque argomenti sui quali i programmi dei due
schieramenti possono trovare conciliazione, ma la situazione attuale
richiede azioni incisive di largo spettro. Si immagina, per esempio,
quale legge finanziaria 2014 potrebbe scaturire tra qualche mese da
un accordo PD-M5S? Per questo penso che sia preferibile una soluzione
diversa. Ad esempio un governo appoggiato da centrosinistra e
centrodestra, con Monti agli Esteri o all'Economia e altri ministri
(volti nuovi) del PD, del PDL, montiani - e anche stellati se
accetteranno, ma sarà difficile. Un governo di questo genere,
anche se necessariamente temporaneo, rassicurerebbe i mercati ma
dovrebbe affrontare con decisione la grave emergenza sociale, se
necessario anche con occasionali maggioranze più ristrette.
Nel frattempo, in previsione di nuove elezioni nel 2014 in
abbinamento alle europee (accostamento non casuale), si potrebbe
fare una decente legge elettorale ed avviare una radicale riforma
dell'offerta politica che abbandoni i veleni del
berlusconismo-antiberlusconismo, che hanno nascosto le trasversali
incapacità, per giungere ad uno schieramento laburista e ad
uno liberal-conservatore depurati entrambi dagli estremismi radicali
– rispettabili anch'essi, ed in qualche caso preziosi per la
democrazia, ma da tenere distinti – che oggi condizionano molti
elettori nella scelta tra i nostri ormai impresentabili due poli,
zavorrati da tutto e dal contrario di tutto per la ricerca del
fatidico premio di maggioranza che, come si è visto, non
garantisce certo la governabilità, e pur tuttavia riesce a
sacrificare così duramente il principio di rappresentatività
democratica da assegnare 340 seggi alla Camera su 630 ad una
coalizione che ha appena il 29,5% del consenso elettorale.
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