martedì 12 febbraio 2013

La rinuncia di Benedetto XVI


La straordinaria, ma non inattesa, decisione del Papa di rinunciare al proprio ministero ha formato oggetto delle più diverse analisi e supposizioni, soprattutto in considerazione dell'attuale stato della Chiesa. Alcune di queste analisi sono plausibili e non è detto che l'una escluda l'altra. La reale motivazione che ha spinto il Pontefice risiede probabilmente in un complesso di circostanze combinate, e alle tante tante ipotesi se ne può aggiungere un'altra.
Benedetto XVI conosce sé stesso, e da filosofo sa quello che il suo spirito può fare ed in quali direzioni può andare, quale cammino può accompagnare e quale altro invece non può assecondare neppure quando abbia maturato la certezza della sua ineluttabilità. C'è un cammino nuovo per la Chiesa, già maturato, che egli vede col cuore ma che la mente gli dice non essere il suo. Nella rinunzia di Joseph Ratzinger si può vedere lucidità intellettuale, umiltà, responsabilità verso la Chiesa e il suo futuro, nella consapevolezza di aver avuto un ruolo di passaggio (crisi) tra il vestito ormai divenuto logoro e quello nuovo che - come tante altre volte è accaduto in duemila anni, e come accade agli uomini ogni giorno - dovrà andare a rivestire il corpo immutato della Chiesa entrata ora nel terzo millennio. Per la conoscenza che egli ha di sé stesso ha visto di non poter essere lui il nuovo sarto: il suo spirito si è formato in una vita lunghissima di profondità di studi. Il suo spirito, solido come una roccia per la cultura e la passione sulla quale si è formato, è quello del suo tempo ed ora arrivano tempi nuovi.
“Tempi nuovi” può essere però una formulazione erratica. Diversamente dai tempi che esso attraversa, il “corpo” della Chiesa non è né vecchio né nuovo - esso è immutabile: è il Vangelo. Il tempo e l'effimera limitatezza umana mettono di volta in volta su questo corpo il proprio vestito. Come tutti gli abiti, quando è nuovo anche quello della Chiesa rifulge di splendore - di ciò che, in quel tempo, è “splendore”. Poi pian piano esso si appanna, si logora, si imbratta perché la Chiesa attraversa il mondo e ne è contaminata. Come già tante volte in passato, ora occorre di nuovo cambiarlo, quel vestito, e nella Chiesa il cambiamento è sempre in moto perché qualcuno ogni volta lo ha preparato, e così è anche  per il tempo presente. I cultori della moda vintage ne saranno dispiaciuti ed alcuni cercheranno di fare argine con indiscutibile onestà intellettuale e sincerità di fede; altri - più sapienti - sapendo di non poter trasformare sé stessi e quindi di non poter essere protagonisti del cambiamento, che pur tuttavia vedono necessario, generosamente si tirano in disparte ed osservano con fiducia e trepidazione. Così probabilmente ha fatto Benedetto XVI.
Il vestito nuovo che la Chiesa avrà fra qualche settimana necessita di mani sapienti e forti. Il Cardinale Martini, da tanti di noi trascurato in vita, ha lasciato chiari indirizzi per la Chiesa, in molti casi colpevolmente liquidati come rimasticate teorie pauperiste. La Chiesa di Cristo non sta nei palazzi lussuosi, non siede sui troni di velluto, non veste ricchi panni rivestiti d'oro e di pietre preziose al pari dei potenti del mondo. Non riduce la sua missione a sontuose liturgie, chiusa in sé stessa. La Chiesa di Cristo, essendo nel mondo, deve pensare anche al proprio sostentamento e al proprio divenire, ma non fa affari, non ha banche; essa dà scandalo - sì - ma non nel senso perverso che trapela ormai con raccapricciante regolarità.
Benedetto XVI ha lucidamente visto queste macchie sul vestito, ma non ha avuto la forza di cacciare i mercanti dal tempio, quelli che lordano l'abito. Essi sono più forti di lui, mite, colto, fragile e solo. Si fa da parte, sperando che chi verrà sappia farlo. Ma i mercanti son lì, e sarà dura.  

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