venerdì 1 agosto 2014

"La compagnia di Ramazzotto" di Carlo Flamigni - Ed Sellerio


    Chi non sia un cultore di storia scoprirà cosa sia la compagnia di Ramazzotto solo verso fine del romanzo, dove troverà anche una dotta citazione dalla Storia d'Italia di Francesco Guicciardini;  questo curioso riferimento è l'elemento più sapido dell'intero romanzo, al quale quindi giustamente dà il titolo. La romagnola compagnia di Ramazzotto di Flamigni è quella composta dai vari personaggi “buoni”, una specie di armata brancaleone un po' scalcagnata e incerottata; in quella storica, rievocata dal Guicciardini, uno era cieco, uno era zoppo, e quello davanti, che teneva lo scudo ("scud") morì per via d'uno sputo ("spud").
   I personaggi di questa vicenda ambientata in Romagna, par di capire tra Cesena, Forlì e Rimini con qualche necessaria puntata nell'emiliana Bologna sede universitaria, sono tutti molto improbabili. Primo Casadei, il protagonista, ha una moglie cinese - che parla romagnolo stretto e che della cucina locale è una maga – e due gemelline; la famigliola vive ospite in casa di un anziano amico, chiamato Proverbio per la sua tendenza ad esprimersi coi motti della vecchia saggezza romagnola. Con loro vive anche un certo Pavolone, giovane solitario e bonario che la natura ha beneficiato solo nel fisico possente, con un solo punto debole causato da un'improvvida liposuzione. Perché queste sei persone vivano insieme non è dato sapere, se si eccettua il vincolo di amicizia tra Primo e Proverbio, padrone di casa.
   La vicenda trae origine da un delitto: l'uccisione di un docente universitario – il bravo, buono e di sinistra Prof. Stelio Benelli, ordinario di chimica – nell'ambito di un torbido intrigo sorto attorno alla distribuzione di alcune cattedre e  all'elezione del nuovo Rettore, attorno al quale – a sua volta – ruoterebbe un progetto speculativo per la realizzazione sulla costa romagnola di una sede distaccata dell'Università. Benelli, nonostante avesse ricevuto varie sollecitazioni, non corre per il prestigioso incarico, ma appoggia uno dei due candidati (ovviamente quello buono). 
   Nella rossa Romagna, questa speculazione per un intervento pubblico su aree acquistate appositamente dai comuni da parte di una vasta congrega di malavitosi vicini alla destra (come lo è uno dei due candidati a Rettore, che è ovviamente della partita), avverrebbe ovviamente all'insaputa delle amministrazioni locali, che essendo rosse non possono che essere aliene da ogni contaminazione affaristica - ma d'altronde deve esser così, altrimenti il romanzo lo si sarebbe dovuto ambientare in altra parte d'Italia. L'autore deve avvertire l'inverosimiglianza della rappresentazione, ed infatti ad un certo punto fa intervenire un assessore che sull'argomento si addentra in un oscuro e sofferto discorso dal quale gli interlocutori - ma anche molti lettori - non ci capiscono molto, se non che la politica che governa quelle terre è ovviamente candida (o meglio rossa) come un giglio ... pur non essendolo (e non essendolo, ovviamente, con suo grande dolore).  Cioè, ci vuol dire Flamigni (che a quella politica attiva non deve essere estraneo), candida lo è per definizione, e tanto deve bastare anche al buon Balilla, vecchio compagno d'altri tempi, che assiste sconcertato alle spiegazioni del compagno assessore. 
   Parte quindi un'indagine parallela da parte della compagnia di Ramazzotto - Primo Casadei, Proverbio, Pavolone ecc. - con la partecipazione straordinaria di Mirta, vedova del povero Stelio Benelli ed ex fiamma di Primo. Quest'ultimo, pur arruolato, nell'esercito dei buoni, ha qualche sassolino nella scarpa per le sue giovanili frequentazioni nella manovalanza a favore di un malavitoso napoletano che ha un proprio centro d'affari anche nella zona romagnola. Tuttavia, cessato questo pericoloso impiego, Primo è diventato uno scrittore affermato ed un appassionato di storia. A volte accade, perché no.
   Ovviamente, dopo alcuni ammazzamenti e varie ammaccature, il caso viene risolto, ma il finale lascia intravedere come il Casadei non abbia abbandonato del tutto alcune inquietanti abitudini risalenti alla sua prima vita.

   Nel romanzo si fa largo uso di espressioni dialettali in romagnolo stretto, quasi sempre tradotte; ed è un bene perché a differenza del siciliano di Camilleri – comprensibile anche con un minimo sforzo - il romagnolo di Flamigni sarebbe, per chi non è romagnolo, assolutamente incomprensibile. Tradotte, e quindi rilette conoscendone il significato, quelle espressioni diventano invece chiarissime e gustosissime, come gustoso è sentir parlare un romagnolo. Deve dipender anche dalla diversa attitudine delle due parlate ad essere espresse per scritto. O anche dal fatto - che forse è la stessa cosa - che il siciliano è più vicino all'italiano del romagnolo. 

   "La compagnia di Ramazzotto" è un romanzo che non fa economie di banalità e di situazioni improbabili; l'unica cosa non improbabile è la buona qualità di scrittura dell'autore, che - pur essendo professore di Ginecologia ed Ostetricia all'Università di Bologna - sa condurre bene la danza letteraria lungo le sue duecentocinquanta pagine, le quali, altrimenti, avrebbero in molti punti, e anche nel loro complesso, rasentato il ridicolo - che è qualcosa di diverso da quel sottile humour ironico che  talora valorizza testi di questo genere.  

   Se il genere “noir” si differenzia dal giallo per il fatto che in esso sono i personaggi ed i loro risvolti, più che la trama e l'indagine, ad essere in prima linea, “La compagnia di Ramazzotto” di Carlo Flamigni dovrebbe essere catalogato tra i “noir”, dato che qui la trama a volte sfugge, passa attraverso forzature e banalità, percorre sentieri precari e improbabili. Però, a ben vedere, assai improbabili sono anche i personaggi, e quindi conviene lasciar perdere l'esatta collocazione del romanzo nell'uno o nell'altro genere, anche perché - ove la confusione non bastasse - gli elementi un po' comici (e non sempre volontari...) contribuiscono a renderla oltremodo difficoltosa. 

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