Il
Fatto Quotidiano ha lanciato un appello
contro la modifica, definita "sottobanco", dell'articolo 138
della Costituzione.
L'iniziativa, che ha superato in un mese le 400 mila firme di adesione, intende contrastare il disegno di legge governativo n. 813/2013 che,
tra l'altro, si propone di modificare appunto l'art. 138 della Costituzione,
il quale stabilisce le modalità per l'approvazione delle
leggi di revisione costituzionale.
In
sintesi, si tratterebbe di ridurre da tre mesi a quarantacinque giorni l'intervallo di “ripensamento” tra le due approvazioni da parte
di ciascuna Camera relativamente alle leggi di revisione e
dell'introduzione della necessità di sottoporre a referendum
le suddette leggi, una volta approvate, indipendentemente dalla
maggioranza ottenuta nella seconda votazione (attualmente l'art. 138
prevede che non possa essere indetto il referendum se la seconda
approvazione è stata ottenuta con almeno i due terzi dei
componenti di ciascuna Camera). Come si vede, da un lato vi è un alleggerimento
della procedura (meno tempo da far intercorrere tra le due distinte
approvazioni) dall'altro c'è un appesantimento (il referendum
può essere richiesto in ogni caso, anche se l'approvazione
della modifica costituzionale è avvenuta con la maggioranza
qualificata dei due terzi).
La
modifica dell'art 138 è propedeutica ad un più ampio progetto di
revisione costituzionale che dovrebbe riguardare il funzionamento
dello Stato e degli organi costituzionali, cercando di rendere la procedura più snella e veloce, anche se più aleatoria nelle conclusioni, visto il referendum che - a differenza di quanto previsto nell'attualità - potrà essere richiesto in ogni caso. In questo contesto
dovrebbe essere interessata la composizione numerica della Camera e
del Senato e le funzioni di quest'ultimo, che attualmente sono del
tutto identiche a quella della Camera dei Deputati. Inoltre – e qui
nascono i problemi più spinosi – viene posto in discussione
l'attuale modello di democrazia parlamentare ponendo uno sguardo
verso modelli di presidenzialismo o semi-presidenzialismo.
E'
quest'ultima prospettiva quella che più preoccupa la sinistra,
tradizionalmente ostile (ovviamente questa ostilità si è
manifestata solo nelle democrazie occidentali) a modelli che
concentrino più incisivi poteri su una sola persona, quella di
un Presidente eletto direttamente dal popolo – forte,
pericolosamente forte, proprio per questa investitura.
Sulla
scia di questo timore oggettivamente fondato, il primo fronte di
battaglia è stato aperto appunto sulla modifica dell'art.
138, quello che regola le modalità da seguire per modificare
la Costituzione.
Principalmente
si contesta il fatto stesso che possa essere sottoposto a revisione
con legge costituzionale quel medesimo art. 138 che disciplina le
revisioni della Costituzione, sostenendo che questa modifica sarebbe un grimaldello per successivi interventi di stravolgimento della Carta in senso autoritario.
Secondo
un'argomentazione che non manca di finezza di ragionamento, l'art.
138 cost., essendo una norma sulla procedura di approvazione delle leggi costituzionali emanate dal parlamento, ha un valore superiore a queste ultime e quindi non può essere da esse modificata né
derogata. Detto in altri termini, secondo questa opinione le leggi
costituzionali (di revisione costituzionale) approvate dal Parlamento non potrebbero comunque
modificare la fonte (l'art. 138) che regola esse stesse e senza la
quale esse non potrebbero vedere la luce, mentre potrebbero
modificare tutte le altre parti della Costituzione.
Secondo questa opinione l'art. 138 sarebbe assolutamente immodificabile - a differenza degli altri - e per averne ragione occorrerebbe un passaggio "rivoluzionario" che promulgasse una nuova Costituzione, o l'elezione da parte del popolo di una Assemblea costituente anche solo allo scopo di riscrivere l'art. 138. Peccato che la Costituzione non disciplini l'elezione di Assemblee costituenti, iniziativa questa che pertanto - sul piano giuridico - andrebbe catalogata tra gli atti rivoluzionari - o eversivi - in senso stretto.
Si sostiene che in effetti lo stesso disegno di legge 813, con la nomina di una commissione di 40 "saggi" per le revisioni costituzionali, si porrebbe al di fuori della legalità, poiché un simile compito andrebbe affidato, appunto, ad una Assemblea costituente eletta dal popolo. Peraltro, la commissione - iniziativa in effetti discutibile - è formata comunque solo da parlamentari e non da soggetti esterni al processo elettivo ed ha essenzialmente compiti di studio, consultivi e al massimo propositivi e quindi si affianca dall'esterno e si aggiunge alla procedura prescritta dall'attuale art. 138 senza attenuarne o modificarne la valenza e gli effetti.
In effetti l'argomentazione che parte dal principio che una legge "generata" (la legge costituzionale di revisione approvata dal Parlamento) possa modificare tutto, tranne che la norma in base alla quale essa stessa è stata generata (l'art. 138) - argomentazione indubbiamente suggestiva - attribuirebbe all'art. 138 un rango superiore agli altri articoli, superiorità che - data l'assenza di una esplicita statuizione in questo senso della Carta - appare assai discutibile. In realtà, in quanto approvata secondo la disciplina al momento vigente ogni singola legge costituzionale con approvazione parlamentare si mantiene disciplinatamente subordinata all'art. 138, poiché ogni volta essa può vedere la luce solo rispettandolo nella formulazione che esso ha. Quindi non potrà esservi mai un "parricidio".
Secondo questa opinione l'art. 138 sarebbe assolutamente immodificabile - a differenza degli altri - e per averne ragione occorrerebbe un passaggio "rivoluzionario" che promulgasse una nuova Costituzione, o l'elezione da parte del popolo di una Assemblea costituente anche solo allo scopo di riscrivere l'art. 138. Peccato che la Costituzione non disciplini l'elezione di Assemblee costituenti, iniziativa questa che pertanto - sul piano giuridico - andrebbe catalogata tra gli atti rivoluzionari - o eversivi - in senso stretto.
Si sostiene che in effetti lo stesso disegno di legge 813, con la nomina di una commissione di 40 "saggi" per le revisioni costituzionali, si porrebbe al di fuori della legalità, poiché un simile compito andrebbe affidato, appunto, ad una Assemblea costituente eletta dal popolo. Peraltro, la commissione - iniziativa in effetti discutibile - è formata comunque solo da parlamentari e non da soggetti esterni al processo elettivo ed ha essenzialmente compiti di studio, consultivi e al massimo propositivi e quindi si affianca dall'esterno e si aggiunge alla procedura prescritta dall'attuale art. 138 senza attenuarne o modificarne la valenza e gli effetti.
In effetti l'argomentazione che parte dal principio che una legge "generata" (la legge costituzionale di revisione approvata dal Parlamento) possa modificare tutto, tranne che la norma in base alla quale essa stessa è stata generata (l'art. 138) - argomentazione indubbiamente suggestiva - attribuirebbe all'art. 138 un rango superiore agli altri articoli, superiorità che - data l'assenza di una esplicita statuizione in questo senso della Carta - appare assai discutibile. In realtà, in quanto approvata secondo la disciplina al momento vigente ogni singola legge costituzionale con approvazione parlamentare si mantiene disciplinatamente subordinata all'art. 138, poiché ogni volta essa può vedere la luce solo rispettandolo nella formulazione che esso ha. Quindi non potrà esservi mai un "parricidio".
Se
i costituenti avessero voluto proprio questo: poter modificare anche
l'art. 138 con la procedura dello stesso art. 138, cosa avrebbero
dovuto dire di più o di diverso rispetto a quello che hanno detto? Per un altro verso si giunge alla stessa conclusione: se i costituenti
avessero voluto escludere l'art. 138 da ogni ipotesi di revisione lo
avrebbero detto esplicitamente, come hanno fatto, ad esempio, per la
forma repubblicana. E come immaginare che i costituenti avessero
voluto blindare in modo assoluto l'art. 138? Sarebbe stata del resto
una posizione irragionevole, soprattutto immaginando che la
Costituzione dovesse avere una lunga vita, come era ed è
auspicabile. Avrebbero semmai potuto prevedere per l'art. 138 una procedura ancor
più rafforzata del normale, ma perché escludere - nei secoli - la
possibilità di prevedere modalità diverse di revisione
costituzionale se non a prezzo di una rivoluzione? La garanzia in realtà è data dal fatto
che ogni modifica dell'art. 138 deve avvenire con la procedura prevista dall'art. 138 nel testo in quel momento vigente.
Si
può a ragione essere contrari modificare la Costituzione - e vi sono molti motivi per esserlo in funzione di certi intendimento che già trapelano - tuttavia si deve prendere atto che i costituenti, quasi settanta
anni fa, vollero prevedere che, salvo poche eccezioni (es. la forma
repubblicana, ma non l'art. 138), la Costituzione che stavano
scrivendo potesse essere modificata, fissando al riguardo una
specifica procedura. Questa procedura, facendo parte della
Costituzione, è anch'essa modificabile data l'assenza di una
esplicita esclusione, purché anche per essa si segua quella
procedura. Dopo, si seguirà quella nuova.
Ora,
in riferimento all'iniziativa del Fatto Quotidiano e alle prese di
posizione di alcuni commentatori come Paolo Flores D'Arcais che
parlano – in riferimento alle modifiche dell'art. 138 - di “atto
eversivo” e di “golpe”, ci si può domandare se sia più
eversivo modificare l'art. 138 della Costituzione seguendo la
procedura ivi prevista dai costituenti per modificare gli articoli
della Costituzione (fra i quali è compreso anche l'art. 138),
o cercare - al di fuori delle procedure costituzionali - di far
diventare immodificabile una Costituzione che essa stessa si dichiara
invece modificabile.
In conclusione, una battaglia contro le modifiche alla Costituzione andrebbe condotta con altre armi - cioè nel merito - e non con le apodittiche invettive che gridano al golpe.
In conclusione, una battaglia contro le modifiche alla Costituzione andrebbe condotta con altre armi - cioè nel merito - e non con le apodittiche invettive che gridano al golpe.
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