giovedì 27 giugno 2013

Il valore di una sentenza

Nel suo blog sul "Fattoquotidiano.it" Furio Colombo svolge un'originale riflessione sulla recente sentenza del Tribunale di Milano che ha pronunciato una dura condanna contro l'ex presidente del consiglio. 
Le Ruby  e affini sono tante e tanti, ma non tutti sono così: questa è la riflessione - vera e profonda - alla quale porterebbe la sentenza. A seguito di questa rivelazione il gioco è fallito. E' fallito il gioco di far credere che siamo tutti Ruby, unica giustificazione per poterlo essere senza biasimo sul piano etico e sociale. E per cercare di rimediare disperatamente a questo fallimento, sentenziato dai giudici milanesi, coloro che gestivano il gioco scendono in piazza col rossetto a proclamare di essere come Ruby: guardateci (e guardatevi), siamo tutti così.  E quindi ad essere così non c'è niente di male. E' questo il succo del pensiero di Furio Colombo.
Seguendo un po' lo stesso registro di lettura, ma sotto altri profili, quando leggeremo le motivazioni della sentenza potremo forse scoprire che essa giuridicamente non pone nessuna pietra miliare nella storia della giurisprudenza. Non è escluso - a stare a quel che si è letto dalle cronache del processo - che la lettura delle motivazioni della sentenza faccia emergere quanto essa sia giuridicamente sbagliata ed inficiata da pregiudizi, violazioni del diritto di difesa e iniquità. Una persecuzione politica. Non è da escludere che - sul piano giuridico - questo oggettivamente potrà risultare. Vedremo. 
Ma una cosa emerge fin d'ora. La sentenza già adesso, senza motivazioni,  ha un suo valore perché, sul piano a-giuridico, i giudici di Milano hanno centrato perfettamente il senso vero della vicenda. Hanno colto la verità morale. Ma non spettava loro, far questo: a loro competeva solo il piano giuridico.
In questo sconfinamento - al quale molti applaudono - sta il motivo di una profonda inquietudine: un potere autonomo e indipendente,  svincolato da ogni legame con la sovranità popolare - la quale giustamente non può incidere su di esso - ci dice qual è la verità, ma non quella giuridica, bensì quella morale - e può capitare che sia tanto più corretta la seconda quanto più è sbagliata la prima.  La conclusione dei giudici corrisponde al vero, ma non ci doveva arrivare in un'aula giudiziaria se il prezzo è quello di una magistratura che stabilisce, con forza di sentenza, non quale sia la legge bensì le proprie regole morali, neppure quando queste siano conformi al comune sentire. Che poi le due verità debbano coincidere è un irrisolto problema di natura filosofica, sebbene le società moderne - a torto o a ragione - paiano oggi propendere per una divaricazione, nel nome della lotta ai fondamentalismi ed in favore del relativismo. Che abbia quindi ragione chi accusa i giudici milanesi di essere dei talebani? Sarebbe il colmo, dover dar ragione a chi ha torto.

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