Già in passato Luciano Canfora,
stimato filologo e apprezzato scrittore, ha pubblicato opere su temi
politici con un taglio molto diverso da quello che siamo soliti
ritrovare in questo tipo di trattazioni.
Il suo breve libretto appena uscito tocca uno dei punti critici dell'attuale dibattito politico,
quello della legge elettorale.
“La trappola” è un manifesto
a favore del sistema proporzionale nel quale l'autore - forse perché
non è un costituzionalista di mestiere ma un uomo
intelligente e profondo - espone pochi, chiari e lucidissimi
concetti facendo diventare la materia di una semplicità
sconcertante: un fatto nuovo, abituati come siamo alle faticose e
contorte elucubrazioni dei paludati esperti.
L'analisi parte con alcuni commenti che
traggono facile spunto dalle recenti elezioni politiche, nelle
quali, come osserva l'autore, i due principali schieramenti hanno
ottenuto un risultato di sostanziale parità: il 29,2%
(centrodestra) contro il 29,5% (centrosinistra). Tuttavia la legge
elettorale vigente ha dato al centrosinistra quasi il triplo dei deputati
rispetto all'altro schieramento: 340 contro 124. Questo, dice Canfora
“... è stato il più grave scandalo mai verificatosi
nella storia politica italiana, più scandaloso persino del
risultato ottenuto la listone mussoliniano (e associati), grazie alla
legge Acerbo, nelle elezioni politiche dell'aprile 1924.”
L'affondo diviene quasi impietoso quando si rileva che a beneficiare
di questa “mostruosa sconfessione del principio base del suffragio
universale (un uomo/un voto) e a comportarsi, tragicomicamente, come
se davvero avesse vinto le elezioni”, è la forza politica
che trae la propria origine dai partiti (PCI e PSI) che a suo tempo
avevano condotto una durissima battaglia, in Parlamento e nelle
piazze, contro la “legge truffa” del 1953, la quale dava in
premio il 64% dei seggi alla coalizione che avesse ottenuto la
maggioranza assoluta dei voti (che cioè, in ogni caso, avesse
comunque, anche se di stretta misura, già vinto da sola).
All'epoca la coalizione centrista (DC-PRI-PLI-PSDI) ottenne il 49,4%
e le mancarono pochissimi voti per conseguire il premio che oggi - con la nuova legge - è stato centrato dalla coalizione di centrosinistra col 29,5%, anche se ciò non è stato sufficiente per prendere il 100% del potere poiché gli effetti distorsivi della legge elettorale, pur essendo anche lì presenti, sono più attenuati per l'elezione del Senato.
Dopo l'interessante e poco nota
citazione della procedura non limpidissima che in sede costituente
portò a “perdere” nella stesura definitiva della
Costituzione l'emendamento che includeva la legge elettorale tra le
materie non assoggettabili al referendum, l'autore passa a trattare
della legge del 1953, conosciuta come legge truffa, con alcune
osservazioni sulle motivazioni che spinsero De Gasperi e Scelba ad
avviarsi su questa strada: le pressioni americane in senso
anticomunista, anche verso altri governi europei, spingevano
addirittura perché il PCI venisse messo fuori legge; il
compromesso trovato fu quello di una legge elettorale che lo rendesse
comunque inoffensivo.
Il testo riporta poi un ampio stralcio
dell'intervento di Palmiro Togliatti alla Camera l'8 dicembre del
1952 in sede di discussione della legge elettorale premiante: una dissertazione dotta, anche se a volte pedante, nella quale sono presenti alcuni degli spunti dai quali Canfora
poi svilupperà il suo attuale pensiero (“Qui” dice
Togliatti “è violato ... l'art. 48, che sancisce
l'uguaglianza del voto dei cittadini”).
Secondo Canfora, il passaggio della
sinistra (schieramento al quale anch'egli è affine) da una
difesa strenua del proporzionalismo puro, com'era nella sua tradizione, ad ipotesi maggioritarie e
premianti va datata alla fine del “socialismo reale” in Europa ed
al conseguente cambio di cultura (e di denominazioni) del vecchio
PCI, determinato dall'emergere di forze di destra nuove e agguerrite,
dalla sfiducia nella propria capacità di attrarre consensi e
dall'illusorio tentativo di “vincere al tavolo da gioco la
battaglia elettorale”. Qui arriva la prima perla del pensiero di
Canfora, sul presupposto che gli schieramenti della seconda
repubblica non sono più due soli, ma sono diventati tre o
quattro: “In un Paese a partiti multipli il sistema maggioritario
porta non alla governabilità ma al disastro ...
all'omogeneizzante accordo di 'larghe intese' si approda comunque” -
lo si è visto col fallimento di Bersani e col governo Letta -
“ma vi si giunge con una rappresentanza delle componenti coinvolte
falsata dalla capricciosa follia del meccanismo maggioritario.”
Cioè: si è gettato alle ortiche il principio della
uguaglianza del voto per una distorsione grave della
rappresentatività (il triplo di seggi in presenza di un
pareggio) nel nome di una governabilità che poi si è
potuta garantire solo mettendo insieme i due pareggianti:
allora tanto valeva che ciascuno avesse in Parlamento i seggi
corrispondenti al consenso ottenuto.
Qui Canfora inizia un'incalzante
sequenza di considerazioni: il sistema elettorale proporzionale è
l'unico strumento che assicuri il rispetto del principio
dell'universalità e dell'uguaglianza del voto; esso costringe
le forze politiche alla ricerca di un compromesso, che nelle società
complesse è l'unica alternativa al conflitto ed è
quindi necessario. Oggi non è più molto rilevante l'elemento della
contrapposizione ideologica, poiché ormai la sinistra ha
rinunziato a rappresentare un'alternativa di sistema: il rifiuto di
governare senza contaminarsi con gli altri non ha più
giustificazione. Ricercare trucchi elettorali per governare da soli è
solo prova di incapacità di far politica, è una
isterica scorciatoia che copre debolezza e inettitudine.
La preferenza di Canfora va quindi ad
un sistema elettorale proporzionale, con l'eventuale correttivo di
una soglia minima come in Germania. L'autore giunge a questa
conclusione attraverso una serie di convergenti considerazioni: il
principio che ogni cittadino ha diritto ad un voto che pesa come
quello degli altri (e non per qualcuno 1,5 e per qualcun altro 0,5,
come è accaduto nelle ultime elezioni); la constatazione che,
in un sistema non bipolare, neppure la grave distorsione del premio
di maggioranza, o degli effetti analoghi dei sistemi maggioritari a
turno unico o a doppio turno, consente la governabilità ed
essa è quindi – oltre che lesiva del principio
rappresentativo – anche del tutto inutile e quindi sciocca. Le
“larghe intese” che si vorrebbero evitare con trucchetti
premianti, alla fine devono essere ricercate comunque: esse - nelle società
complesse - sono spesso inevitabili e non devono ritenersi
contraddittorie in riguardo ad una supposta diversità
antropologica con l'avversario, perché oggi non si confrontano
più opposte ed inconciliabili visioni del mondo, ma solo
varianti della stessa visione. E quindi, se una parte ottiene la
maggioranza senza trucchi e premi (col 50,1% dei voti di uguale peso
degli elettori) governi pure da sola se vuole; altrimenti, se non
può farlo, scenda a compromessi con altri, senza pretendere di
imporre al 70% dei cittadini un programma di governo che ha avuto il
consenso solo del 30%.

Alle considerazioni di Canfora se ne potrebbero anche aggiungere altre. Si sostiene dagli avversarti del proporzionale che i sistemi maggioritari o premianti favoriscono e rafforzano la governabilità, che invece sarebbe minata - col proporzionale - dalla presenza di numerose forze, piccole sì ma in grado di condizionare l'azione di quelle maggiori. Questo può essere vero in società coese e con scarso pluralismo di idee, dove sono effettivamente due i blocchi che si fronteggiano e le "piccole forze" quasi non esistono nella società e quindi non possono neppure avere una rappresentanza parlamentare. In questi casi può anche essere accettabile che chi vince 50,1 conto 49,9 abbia qualche (qualche) seggio in più per non rendere precaria la vita di un governo che è comunque legittimo. In questi casi la forte coesione sociale si riverbera sull'organo rappresentativo e la governabilità soffre pochissimi rischi. Ma in Paesi come l'Italia dove la società è contraddistinta da un esasperato pluralismo, spesso centrato su aspetti marginali ma puntigliosamente coltivati, un sistema premiante porta le forze più piccole ad alleanze interessate con quelle maggiori per lucrare insieme il premio di maggioranza salvo poi, una volta avuta la grazia, rivendicare la propria indipendenza per meglio perseguire i propri interessi di parte, e quindi ritorna il condizionamento che il maggioritario voleva evitare. Questo si verifica anche nel caso di maggioritario con collegi uninominale (a unico o doppio turno) poiché qui vi è spazio per le cosiddette "desistenze concordate", attraverso le quali le forze minori e quelle maggiori, che si sono alleate, concordano in quali collegi si presenta il candidato solo di un partito e in quali si presenta solo quello dell'altro, con impegno reciproco all'appoggio. In ogni caso, per avere la prova della inidoneità del maggioritario premiante ad assicurare la governabilità, basta pensare alle elezioni del 2008, quando la coalizione di centrodestra ottenne un larghissimo successo tale da costituire un esempio forse irripetibile di situazione di governabilità blindata. Ma dopo poco l'uscita di Fini fece la spia della finzione e l'Italia ha passato più di un anno con un governo traballante, puntellato in modo talora discutibile, il quale alla fine ha dovuto lasciare il campo al governo tecnico.
Inoltre, in un Paese, come il nostro, di democrazia parlamentare nel quale il
Presidente della Repubblica non è eletto direttamente dai
cittadini, ma da un Parlamento allargato, ancor più scandalosa è una legge elettorale premiale e distorsiva che produce maggioranze parlamentari artificiose tali da consentire a chi abbia,
col il 30% scarso del consenso nel paese, 504 grandi elettori su
1007 (la coalizione di centrosinistra c'è andata vicina: 496)
così da potersi eleggere al quarto scrutinio un proprio Capo
dello Stato che resti poi in carica per sette anni. Poteva accadere
nell'aprile scorso con Prodi se non ci fossero stati i famosi 101
franchi tiratori e se solo lo avessero votato altri otto (tra grillini e
montiani - e di questi ultimi pare che quattro lo abbiano anche fatto,
cosicché i franchi tiratori sarebbero stati 105). Che quei 101
(o 105) siano da riabilitare? Sono stati forse, pur inconsapevoli,
il braccio secolare della sacrosanta vendetta della democrazia e del principio
costituzionale dell'uguaglianza del voto per tutti i cittadini contro
l'attuale scandalosa legge elettorale? Ma su questo argomento Canfora
non si è espresso, come non si è espresso sulla proposta di semipresidenzialismo, che va di pari passo
col maggioritario - col quale sistema invece non è
compatibile, come si è appena detto, un'elezione del Capo
dello Stato da parte di un Parlamento dalla composizione
artificiosamente alterata.
Una nota finale: nelle novantotto pagine di Canfora la parola "Berlusconi" compare una sola volta.