giovedì 22 marzo 2012

Riflessioni sulla tutela per i licenziamenti illegittimi

Nella sua recente proposta, il governo Monti ha delineato tre scenari di regolamentazione dei licenziamenti individuali nel settore privato, con una radicale revisione della precedente disciplina ed in particolare dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori (che dal 1970 stabiliva la reintegra in servizio del lavoratore che fosse stato licenziato senza giusta causa o senza giustificato motivo soggettivo, in luogo del semplice indennizzo economico risarcitorio che era in precedenza previsto in base alla legge 604 del 1966).
Sulla  soluzione illustrata dal Ministro Fornero vi sono stati aperti dissensi, soprattutto  sulla soluzione scelta dal Governo per i licenziamenti motivati da necessità economiche, organizzative e produttive, e che abbiano carattere individuale, giacchè per quelli di carattere collettivo sono  da tempo previste procedure e modalità  specifiche che al momento non sono oggetto modifica.
Parlare di tre distinti "licenziamenti" (discriminatori, per motivi economici o oggettivi, oppure disciplinari, cioè per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo) è una semplificazione forse utile ai fini della ricerca dei rimedi in caso di illegittimità, ma impropria: la qualificazione di "licenziamento discriminatorio" è latente in ogni licenziamento di fatto immotivato, sia che sia stato formalmente intimato dal datore di lavoro  per motivi economico-produttivi sia per motivi disciplinari.  Il datore di lavoro licenzia sostanzialmente in due modi soli il singolo lavoratore: "Lei è licenziato perchè il Suo posto di lavoro viene a cessare a seguito di ristrutturazione organizzativa, ed in azienda non risultano altre occupazioni che Lei possa svolgere" si dirà ad esempio nel caso di licenziamento economico. Oppure: "Lei è licenziato per giusta causa perchè ha sottratto denaro dalla cassa ..." o "  Lei è licenziato per giustificato motivo per la Sua palese inattitudine a svolgere le mansioni assegnateLe, come testimoniano  i danni reiteratamente arrecati per Sua responsabilità  ai macchinari del reparto ...".  Non capiterà mai di leggere in una lettera di licenziamento: "Lei è licenziato perchè ci è risulta che  è iscritto al partito tal dei tali ... perchè pare che Lei sia ebreo ... perchè è polacco ..."
La discriminazione quindi, se c'è,  sarà sempre nascosta sotto un licenziamento apparentemente intimato per un  motivo lecito (economico o disciplinare)  e quando quest'ultimo non resisterà al controllo giudiziario cui sia ricorso il lavoratore, la sanzione sarà quella prevista dalla legge che si intende emanare, e cioè, in base alla attuali impostazioni del Governo, nel caso di  licenziamento "economico", il lavoratore riceverà un indennizzo (anche elevato: fino 27 mensilità di retribuizione), mentre nel caso di licenziamento disciplinare sarà il giudice a valutare, in base ai fatti accertati nel processo, se si debba ordinare la reintegra nel posto di lavoro, o se si debba dar luogo ad un semplice indennizzo.
Poichè l'assenza di un motivo economico o disciplinare (che in giudizio devono essere provati dal datore di lavoro) può essere la spia di un intento discriminatorio (che invece deve essere provato dal lavoratore, ed è impresa solitamente ardua) con la  nuova disciplina proposta potrà darsi che il lavoratore licenziato per motivi economici o disciplinari si attivi in giudizio eccependo in via principale la discriminazione (che se accertata gli darà in ogni caso diritto alla reintegra) e, solo in via subordinata, l'assenza di un motivo economico (riceverà un  indennizzo) o di una giusta causa o di un giustificato motivo (potrà aver diritto alla reintegra o all'indennizzo). Se riuscirà a provare la discriminazione, riavrà subito il suo posto di lavoro come se non l'avesse mai perso, senza che ci sia più bisogno di discutere di motivi economici o disciplianri. Se non ci riuscirà, ed il datore di lavoro a sua volta non riuscirà a provare il motivo economico o disciplinare, male che vada riceverà un (alto) indennizzo e forse anche la reintegra se non risulterà sussistente una giusta causa o un giustificato motivo soggettivo (disciplinare), qualora l'arbitrarietà del datore di lavoro risulti al giudice particolarmente smaccata. 
Del resto, pur trattandosi di materia opinabilissima in base alle diverse sensibilità, una volta fatti salvi i casi di discriminazione, può essere ritenuto ragionevole che un datore di lavoro possa liberarsi di un determinato dipendente che non gode più della sua totale fiducia, considerato per di più che risulta frenata - la sua arbitrarietà -  dalla remora dell'alto indennizzo che dovrebbe comunque versare e dal rischio (per i licenziamenti disciplinari)  di vedersi reintegrato il lavoratore sgradito.
Tuttavia il sistema  delineato dal Governo pare avere qualche zona d'ombra. Infatti per i datori di lavoro risulterà preferibile - tutte le volte che possano accampare uno straccio di motivazione magari stiracchiata, o anche inventata - agire  con un licenziamneto per motovi economico-produttivi, sapendo che così in caso di soccombenza non correranno  il rischio di vedersi reintegrato il lavoratore sgradito (anche se il motivo è stato inventato, ma il lavoratore non sia riuscito a provare uno specifico intento discriminatorio).
Sarebbe quindi preferibile - tra l'altro allo scopo di evitare ricorsi pretestuosamente attivati in via principale anche per motivi discriminatori e quindi con attività processuale più prolungata -  che anche per il caso dei licenziamenti  economici vi fosse la previsione di una sanzione giudiziaria alternativa: l'indennizzo o - nei casi di palese malafede del datore di lavoro - di reintegra. Si pensi al caso di un lavoratore licenziato perchè gli viene opposto che la sua specifica mansione non è più necessaria nel processo produttivo, ma dopo un mese o due la stessa mansione venga ripristinata ed  affidata ad altro elemento appositamente assunto.
Si dirà che per fare ciò il datore di lavoro deve sobbarcarsi il richio di un costo notevole, quello delle ventisette mensilità da corrispondere al lavoratore licenziato. La situazione può riguardare però un lavoratore anziano, e quindi costoso, al quale mancano magari dieci anni prima di poter andare in pensione con le attuali regole, e che potrebbe essere sostituito con un neo assunto che per tanti anni costerà la metà. Ventisette mensilità possono essere un prezzo accettabile per il datore di lavoro per ottenere questo vantaggio pluriennale, mentre il lavoratore anziano con quelle stesse ventisette mensilità dovrà viverci per dieci anni (fino alla pensione), dato che a quell'età gli sarà difficile trovare un'altra occupazione.

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