giovedì 12 gennaio 2012

"Confessioni di un borghese" di Sàndor Màrai (Ed. Adelphi)

Rientra nell'eccezionalità di uno scrittore come Sàndor Màrai scrivere un libro di memorie quando si è poco più che trentenni - un terzo della sua lunga vita – e si deve ancora creare la maggior parte dei propri romanzi, tra i quali i più importanti.
“Confessioni di un borghese” fu pubblicato in due volumi tra il 1934 ed il 1935, quando lo scrittore era tornato a Budapest dopo il suo lungo peregrinare in Europa, mosso in origine dal desiderio di perfezionare l'attività di giornalista. 
Màrai, nato nel 1900 a Kassa nell'Alta Ungheria (oggi la cittadina fa parte della Slovacchia), apparteneva ad una famiglia che per parte paterna, di provenienza sàssone, aveva una lontana ascendenza di piccola nobiltà, ma che tuttavia conduceva la vita propria della borghesia di una media agiatezza, poi nel tempo  un po' accresciuta da quel che si intuisce dalla narrazione.
Il romanzo prende le mosse dagli anni in cui il piccolo Sàndor abita con la famiglia in un appartamento ampio e signorile di uno dei primi fabbricati a più piani, in stile “cittadino”, di Kassa. E' un appartamento in affitto: cruccio continuo per il padre di Marai, avvocato, che sarà finalmente risolto solo dopo quindici anni quando la famiglia – con Sàndor già in giro per l'Europa – riuscirà ad acquistare un proprio appartamento (“...mio padre era convinto che un gentiluomo non paga un affitto e non abita in casa d'altri, e fece di tutto perché potessimo trasferirici in una casa di proprietà”).
La prima parte del romanzo si dipana nella descrizione degli anni dell'infanzia e dell'adolescenza dello scrittore. Questa parte costituisce una prova severa per il lettore, essendo qua e là vagamente tediosa pur nell'incedere della già sublime prosa di Màrai. Sì, è una prova: solo superata la quale si avrà diritto al premio che la lettura di “Confessioni di un borghese” poi elargirà a piene mani a chi avrà avuto la forza d'animo di superare lo scoglio iniziale e potrà quindi accedere all'empireo (un po' come Tamino e Papageno nel “Flauto Magico” di Mozart).
Dopo il periodo del collegio di Pest, dove Màrai fu avviato per punizione a seguito di una fuga, la prima uscita da casa è in Germania, allo scopo di frequentare la scuola di giornalismo di Lipsia. Qui un Màrai diciannovenne ha le prime vere esperienze della vita, compresa quella con la moglie del macellaio presso la cui famiglia ha preso alloggio; la somma che il padre gli aveva consegnato alla partenza, bastevole per vivere all'estero per almeno tre mesi, si volatilizzò in poche settimane. Ma l'obiettivo principale – la scuola universitaria di giornalismo – langue ed il titolo non viene mai conseguito, anche se ben presto il prestigioso Frankfurter Allgemeine Zeitung accetta ben volentieri di pubblicare gli articoli del giovane e sconosciuto ungherese, riconoscendogli anche lauti compensi.
Di profondo interesse sono le annotazioni dello scrittore sulle altre sue esperienze in una Germania ormai sull'orlo della tragedia, una Germania in un certo senso familiare per un ospite austrungarico, ma al tempo stesso paesana e superficiale, anche nelle sue roccaforti culturali ed economiche come Francoforte, Berlino e Monaco, e pure in un cittadina appartata, sebbene tanto centrale in quegli anni prodromici del disastro, come Weimar, ove il giovane Màrai ripercorre i luoghi che furono dell'amato Goethe. E quando poi, con la moglie Lola, da Aquisgrana parte in treno per Parigi, avverte lì il vero “passaggio”, geografico ma soprattutto culturale: si va in Europa, si va "in occidente", e si lascia la cara Mitteleuropa. Un'Europa che è un mondo nuovo tutto da scoprire: osservando i parigini Màrai rimane inizialmente sorpreso dal loro modo di vivere, ma ben presto ne scopre i segreti, del tutto inattesi ai suoi occhi di mitteleuropeo.
Sorprende il ruolo assolutamente marginale e spesso dimenticato che nel romanzo viene svolto dalla moglie. Lola, sposata giovanissima, è con lui già in Germania e lo segue in quasi tutte le sue peregrinazioni fino al ritorno a Budapest all'inizio degli anni trenta, ma Màrai spesso la dimentica e parla dei suoi viaggi come se fosse da solo. E' strano tutto questo: un grande e forte amore nato a vent'anni, nella perplessità delle rispettive famiglie, e durato una lunghissima vita passata quasi tutta insieme: Lola muore nel 1986 e pochi giorni prima del decesso Màrai annota nel suo diario: "Capodanno. La nostra vita è finita: a lei può rimanere ancora qualche settimana, non di vita, solo di un'esistenza inconsapevole, crepuscolare. Per quanto mi riguarda, la mia vita finisce quest'anno - anche nel caso che io le sopravviva" (S.Màrai - L'ultimo dono - Adelphi). Tre anni dopo lo scrittore, ormai quasi novantenne, mette fine tragicamente ai suoi giorni, sopraffatto dalla solitudine.
Il romanzo, che si snoda per oltre quattrocentocinquanta fitte pagine, è un lungo monologo che percorre non solo, e non tanto, una quindicina di anni della vita dello scrittore: esso percorre soprattutto la coscienza dell'Europa in uno dei suoi più profondi cambiamenti, dei quali normalmente i contemporanei non si accorgono. Ma Màrai è un contemporaneo particolare, quei cambiamenti lo attraversano e lui, sì, che li sente, amplificati dall'esterno verso l'interno, verso quella interiorità ove, accolti, sono coltivati col fertilizzante di un'acuta, esasperata, percezione analitica, per essere rielaborati e restituiti chiari e nitidi al fortunato lettore.
A quel lettore il quale, girata l'ultima pagina, ne trova con rammarico una bianca. Il romanzo è finito, ed un dubbio esaltante lo coglie: quello di aver appena finito di leggere un capolavoro. E nessun vero capolavoro è ritenuto tale dal suo autore: nel 1986, l'anno della morte della moglie, nel suo diario alla data del 17 marzo, Marai annota: "Di notte, il secondo volume delle Confessioni di un borghese. Non lo avevo più letto da mezzo secolo. Lo trovo estraneo, prolisso: qualora venga tradotto, bisogna tralasciarne un terzo. E' troppo "sincero"  per poter essere veramente sincero: lo è intenzionalmente." (S.Màrai - L'ultimo dono - Diari 1984-1989 - Adelphi)  

(foto ripresa dal sito dell'Editore)

Nessun commento:

Posta un commento